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Campania e Sicilia, uguali sono

Tra Pescara e Napoli c’è di mezzo l’Appennino.
Per andarci puoi scegliere diverse strade. Ieri ho scelto la strada che passa per Roccaraso e il piano delle cinque miglia. Una strada bellissima in tutte le stagioni. Con il sole e con la pioggia, con la neve e con il vento. Attraversi l’Abruzzo e le sue montagne e, dopo aver raggiunto vette importanti, scendi giù per tornare al livello del mare nella campagna campana.

Qui il paesaggio muta e si passa dalla bellezza del paesaggio e dei luoghi che l’uomo ha costruito in questi territori nel corso di duemila anni allo squallore dei territori e dei luoghi che l’uomo non ha saputo manutere e che ha costruito in questi ultimi decenni.
Certo non tutta la Campania è brutta e squallida ma quel tratto di strada che si fa dopo aver lasciato le montagne abruzzesi e ti congiunge a Napoli si potrebbe intitolare: Della bruttezza, ovvero uomini contro il territorio.
La macchina scorre veloce sull’asfalto caldo, la colonnina segna 36 gradi. Il caldo non mi da fastidio perché l’aria condizionata della macchina mi refrigera. Il paesaggio non posso non vederlo e sono costretto a guardare quello che mi si apre davanti al parabrezza man mano che avanzo su quella lingua d’asfalto ormai incandescente.
L’inno del non finito. Sarebbe contento Michelangelo e la sua Pietà Rondinini.
Case che si fermano al primo piano e non crescono se non nei ferri arrugginiti che oltrepassano la soletta di cemento armato e restano come sospesi nell’aria. Brutti casolari costruiti nel nulla e poi abbandono e ancora abbandono. Abbandonata è gran parte della terra. L’incuria è generalizzata. Poi attraverso piccoli comuni e lì l’opera di trasformazione dell’uomo, la costruzione della città, è deprimente. Non c’è bellezza, non c’è armonia ed è il trionfo del brutto. Case costruite senza senso e logica, nessuna idea di città, nessuna speranza d’incrociare con lo sguardo una finitura, un’architettura. Tutto è uguale a se stesso. Replicanti del nulla.
Una condizione questa nella quale è difficile vivere anche per chi in mezzo al degrado, degrado non è. Ci si abitua a quella condizione e non si aspira a nulla di meglio. Forse s’ignora che esista altro.
Poi, dopo aver lasciato l’autostrada prima e la tangenziale poi, vedo le grandi gru del porto e capisco di essere arrivato a Napoli. Percorro un piccolo tratto di via Marina e lascio la macchina al parcheggio Brin. Tutta l’area intorno al parcheggio Brin è desolante e poi con questo sole e questo caldo è anche peggio.
La Campania, la città di Napoli, come gran parte delle altre province e comuni grandi e piccoli, sono amministrate da anni dal centro sinistra. Questo degrado, questa desolazione, questa bruttezza, questa mancanza di futuro, perché non ci può essere futuro in luoghi così, sono da attribuire alla classe dirigente e alla classe politica che amministra queste terre. In questo contesto prospera la malavita organizzata, la camorra o il sistema, che trae ossigeno proprio da questo mondo brutto che tutti sembrano voler tener in vita.

Tra la Campania e la Sicilia c’è di mezzo la Calabria.
La Sicilia, la città di Palermo, come gran parte delle altre province e comuni grandi e piccoli, sono amministrate da anni dal centro destra. Territorio deturpato e violentato, storia millenaria calpestata, pensiamo allo scempio della valle dei templi, periferie urbane che somigliano sempre più a carceri di massima sicurezza piuttosto che a residenze per persone normali, umane. Anche qui la malavita organizzata, la mafia, trae ossigeno da questo degrado e dalla bruttezza che caratterizza e scandisce i ritmi di gran parte della vita nell’isola.

Campania e Sicilia uguali sono?

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