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Brothers ovvero ritorno a Itaca

La nostra cultura, quella occidentale, è figlia, e affonda le sue radici, nel lungo, lunghissimo, viaggio di Ulisse. Quel viaggio è la base dell’elaborazione di uno dei miti più popolari del nostro tempo. Ulisse è la guerra. Ulisse è accettare la sfida coma cifra della propria esistenza. Ulisse è rifiutare il paradiso e l’eterna giovinezza. Ulisse è perciò, accettare che tutto ha un inizio e una fine. Ulisse è ragione e sentimento.

Tutto questo ho pensato mentre guardavo l’ultima scena di Brothers, il film di Jim Sheridan. Un film bello e duro, durissimo, una lama tagliente conficcata, dritta, nel cuore.
Una storia che racconta di come la guerra, tutte le guerre, devastino la mente umana. Di come la guerra uccida, prima ancora che vite, il cuore e la mente di tutti i partecipanti a questo grande fenomeno collettivo. Quando un uomo è costretto ad uccidere un altro uomo, qualcosa cambia per sempre dentro di lui. È questo, un viaggio senza ritorno.
Ulisse al suo ritorno troverà i Proci ad insidiare Penelope, Sam Cahill, uno dei due protagonisti del film, troverà suo fratello Tommy che si prende cura di Grace e delle sue bambine.
La fine sembra vicina per Sam. La gente lo considera un eroe mentre combatte una battaglia  senza esclusione di colpi con se stesso. Non si fida di sua moglie e di suo fratello e ha un grosso buco che non riesce a riempire: ciò che ha subito in Afghanistan gli brucia dentro.
Come più volte è capitato a Ulisse nel corso del suo rocambolesco ritorno a Itaca è sul punto di mollare. Come Ulisse, ogni volta si rimette in piedi.
«Fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtude e conoscenza» fa dire Dante Alighieri a Ulisse nella Divina Commedia, quando rivolgendosi ai propri uomini li esorta a salpare per l’ultimo folle volo, sentimento e ragione per superare le difficoltà. Sarà così anche per Sam, marinaio di terra e novello Ulisse, bisognerà arrivare in fondo al tunnel, sull’orlo del baratro, per risalire. Un po’ alla volta. Piano piano.

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