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Fine pena mai”, uno slogan buono per film di serie B.

La notizia che Valerio Fioravanti, reo confesso di molti omicidi ma non della Strage di Bologna per la quale fu condannato all’ergastolo, è un uomo libero è una di quelle notizie destinate a far discutere all’infinito.
Valerio Fioravanti, più noto come Giusva Fioravanti, è stato un terrorista “nero” e fu tra i fondatori dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Arrestato nel 1981, quando aveva ventitrè anni, oggi ha cinquantuno anni e torna a essere un uomo libero dopo aver scontato il suo debito con la giustizia.

Leggendo la sua storia, in A mano armata. Vita violenta di Giusva Fioravanti, terrorista neo-fascista quasi per caso di G.Bianconi, si ha la sensazione che tutto quello che è successo a lui sarebbe potuto succedere a chiunque altro in quegli anni. Ma soprattutto che la sua ferocia e spietatezza nell’uccidere, le sentenze passate in giudicato gli attribuiscono 93 omicidi, sono state frutto di scelte abbastanza casuali. Seguire il filo del suo discorso ti porta a pensare l’uomo come un essere senza libero arbitrio e soprattutto senz’anima. Non è cosi, ovviamente. Chi ha sbagliato in quegli anni, schierandosi contro lo Stato a prescindere, lo ha fatto coscientemente e le responsabilità sono sempre responsabilità personali. Se non rifletti su questo e, al contrario, ti lasci prendere dalla lettura del libro e trasportare da essa, ti può capitare di essere tu stesso vittima, non della sua mano omicida, ma della Sindrome di Stoccolma.
La riacquistata libertà di Giusva Fioravanti ci pone di fronte due grandi questioni: Gli anni di piombo e il ruolo del carcere.
La prima questione, “Gli anni di piombo”, rimane a tutt’oggi insoluta perché il contesto politico attuale è talmente degradato, non in grado di affrontare una questione così complessa. Un tema così drammatico necessità di una grande preparazione e statura morale. E l’attuale classe politica, di destra e di sinistra, non possiede né la prima né la seconda delle qualità richieste. Per questo motivo non affronto questo argomento, in attesa di tempi e ascolto migliori.
Il ruolo del carcere nella società contemporanea invece è un tema che riguarda ognuno di noi. Ci riguarda come cittadini che fanno parte di una comunità.
Sono antifascista e mi riconosco nei Valori della Costituzione italiana, per questo non ho nessun tipo di simpatia per Fioravanti, per il fascismo e per il terrorismo in generale, sia nero che rosso.
La libertà di Fioravanti ci pone, quasi fisicamente direi, di fronte al dilemma del perdono.
Può lo Stato perdonare un uomo che ha ucciso 93 uomini, reo confesso?
Se il carcere è il luogo dove la persona deve redimersi per avere una seconda possibilità, una possibilità di riscatto per sé stesso e per la stessa comunità, non possiamo non essere d’accordo con la libertà ri-acquistata da parte di Giusva Fioravanti. Ha scontato la sua pena ed è giusto che sia libero. La sua libertà, la sua presenza fisica davanti a noi, è la testimonianza di quanto l’uomo sia in grado di comprendere i propri limiti e di quanto si sforzi per superarli. La libertà di Fioravanti è la prova della forza della democrazia. La prova che la democrazia non teme terrorismi, neri o rossi. E che le ragioni dello stare insieme in pace, sìano più forti della violenza.
Giusva Fioravanti libero è il messaggio più efficace per dire a chi uccide o delinque, che lo Stato vince sempre. È il modo migliore per affermare che lo Stato è forte e proprio per questo può perdonare. Per questo noi, lo Stato, abbiamo fatto il nostro dovere per recuperare un uomo dall’abisso e dalla miseria in cui era caduto e siamo a posto con la coscienza.
In questo senso “Fine pena mai”, è uno slogan buono per film di serie B.

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