le mie recensioni


Visit Us On FacebookVisit Us On InstagramVisit Us On LinkedinVisit Us On YoutubeVisit Us On PinterestCheck Our Feed

L’Italia è un paese per chi?

«L’Italia non è un paese per giovani» è una delle affermazioni più utilizzate in questi ultimi anni per indicare l’incapacità dell’Italia d’investire risorse economiche e credere nelle nuove generazioni.
Non è un’affermazione teorica o peggio ancora un complotto di chi è impegnato a “parlar male” del proprio paese. Sappiamo che ciò è vero e i dati dell’Istat, che fissano impietosamente al 29,4% la disoccupazione che colpisce i ragazzi al di sotto dei 24 anni, ne sono una conferma. Un giovane su tre non trova lavoro. Da qui l’affermazione conseguente, «l’Italia è un paese per vecchi».

Questa seconda tesi non è altrettanto dimostrabile con numeri e statistiche e non aiuta a comprendere il vero significato della prima affermazione. Certamente non ne costituisce l’origine. Le cause che possono spiegare questo disagio sono molteplici, mi soffermerei su una di queste, per me la più importante, la modestia, e uso scientemente un eufemismo, della classe dirigente italiana.
L’Italia funziona male perché la sua classe dirigente è mediocre, spesso inesistente. Dovremmo porci il problema di come si forma la classe dirigente nel nostro paese per capire e individuare le responsabilità di tanto degrado. La politica, come sempre in Italia, fa la parte del leone. Per il personale politico i processi di selezione sono inesistenti, così come la verifica e il controllo dei risultati raggiunti. Dalle scelte della politica spesso dipendono le scelte della classe dirigente di tutti gli altri settori. Ad esempio la scelta dei manager delle Asl e sappiamo che il sistema Sanità, in quasi tutte le regioni italiane, assorbe quasi l’80%, e in alcuni casi anche di più, delle risorse di quelle amministrazioni. Un cane che si morde la coda.
Il sistema Italia funziona male perché non ha una classe dirigente qualificata e in grado di gestire il paese. Questo è il cuore del problema. Se non investiamo nella formazione di una nuova classe dirigente, in tutti i settori vitali della società, non usciremo mai dal guado in cui siamo finiti e continueremo a confondere causa con effetto.
In Francia ad esempio tutti gli alti funzionari delle strutture pubbliche sono licenziati dall’ENA (Ecole nationale d’administration) istituita da Charles de Gaulle nel 1945, proprio per consentire alla Francia di avere una nuova e più preparata classe dirigente. Ogni anno sono ammessi circa ottanta candidati, le domande sono più di tremila. La formazione dura due anni, un anno di studio vero e proprio e un anno di tirocinio. La scuola, dal 2005, ha sede a Strasburgo.
Formazione qualificata prima e selezione vera, basata esclusivamente sul merito, poi, le due opzioni per uscire dalla miserabile condizione in cui siamo sprofondati.
E a proposito di nuove classi dirigenti, mi colpisce in questi giorni di «primavera araba» vedere le facce e ascoltare le parole delle persone che stanno cambiando la storia del Nordafrica.
Sono quasi tutti giovani. Donne e uomini. Quando arrivano alla ribalta della televisione italiana per spiegare le ragioni di questa rivoluzione, in realtà arrivano in poche televisioni, La7 su tutte, scopri che sono tutti molto preparati, da un punto di vista scolastico innanzitutto, e hanno molte cose da insegnarci anche in altri campi.
Ieri sera ad esempio durante la trasmissione L’Infedele di Gad Lerner era stridente il confronto tra la classe dirigente politica italiana, invitata a discutere proprio di ciò che sta accadendo in Libia, Egitto e in tutto il nord Africa, e i giovani ragazzi libici presenti in studio.
A rappresentare l’Italia il sottosegretario degli Affari Esteri, Alfredo Mantica, e l’europarlamentare della Lega Nord, Mario Borghezio.
Un confronto impari e perso in partenza tanta era la differenza di preparazione e più in generale di cultura tra i ragazzi libici e Mario Borghezio ad esempio. Alla profondità di analisi dei primi faceva da controcanto la rozzezza e l’insipienza del dirigente leghista. Ed era inevitabile propendere dalla parte dei libici. Quei ragazzi e quelle ragazze rappresentano bene il presente di quella nazione e possono rappresentare altrettanto bene anche il futuro prossimo della Libia. Ma noi, noi italiani intendo, per quanto tempo ancora possiamo sopportare di essere rappresentati nel mondo dai Borghezio? L’Italia è un paese per chi?

Condividi
  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • MySpace
  • RSS

Leave a Reply