Questo articolo è pubblicato anche su Il Centro
La lunga attesa per la più importante mostra in Italia su Johannes Vermeer non è stata vana. L’arte del pittore di Delft, e dei pittori suoi conterranei e contemporanei, non delude le aspettative. Un percorso espositivo (con più di cinquanta opere, non in ordine strettamente cronologico) che è dannatamente poetico da togliere il respiro. Squarci di luce, tra la penombra delle sale delle Scuderie del Quirinale, che si fanno poesia.
Sentimenti che albergano in ognuno di noi è che la mano sapiente di Vermeer ha saputo rendere universali e slegati dal contesto in cui sono stati concepiti. Eppure il contesto, in questo caso, è molto importante. Anzi è tutto e spiega in buona parte la ragione di una così grande concentrazione di artisti in un medesimo luogo e nello stesso periodo.
Delft, la cittá in cui nasce e vive Vermeer, è la cittadina più ricca del sud dell’Olanda e durante la seconda metà del 1600 conta circa 25.000 abitanti. La presenza di una classe borghese molto ricca favorisce la numerosa presenza di pittori nella piccola cittadina e asseconda un livello culturale mediamente più alto che nel resto del Continente. In quegli anni l’Olanda è uno dei Paesi a più alto tasso di alfabetizzazione d’Europa. È questo il periodo d’oro dell’arte olandese, il periodo in cui vive e opera Johannes Vermeer e alcuni dei pittori che costituiscono il percorso espositivo della mostra, Carel Fabritius, Pieter de Hooch, Emmanuel de Witte, Gerard ter Borch, Gerrit Dou, Nicolaes Maes, Gabriël Metsu, Frans van Mieris, Jacob Ochtervelt e altri artisti che sorprendono per la qualità delle loro opere.
Vermeer svela le stimmate dell’artista quando dipinge la luce, una qualità che lo accomuna ai più grandi artisti di tutti i tempi, qualità che lo rende unico e perciò inconfondibile. Attraverso la luce e le sue variazioni di colore, Vermeer disvela un mondo interiore ricco di sfumature sempre diverse e cangianti. Dipinti che contengono qualcosa che li rende molto simili alla poesia, come musica che emoziona. Nei suoi quadri non c’è narrazione, ma fotogrammi capaci di uscire dal proprio tempo e di diventare universali e perciò senza tempo, ovvero di ogni tempo. Emozioni che assumono fattezze umane, come nel caso del dipinto Ragazza con il cappello rosso, (1665-1666 circa) quadro di piccolissime dimensioni (22,8 x 18 cm), o che diventano mattoni e case e strade, come nel caso del quadro che apre la mostra La stradina (1658 circa) anche questo di piccole dimensioni (54,3 x 44 cm), e che non sono mai solo realtà o solo immaginazione.
Vermeer utilizza pochi elementi narratologici e lascia all’osservatore totale libertà per la comprensione dell’opera e gioca tutto sulla capacità evocativa delle sue figure o degli elementi fisici che costituiscono i suoi dipinti. Per questo motivo le sue opere continuano a regalare emozioni, perché dipinge sentimenti e costruisce una geografia dei luoghi dell’anima nuova non solo per l’epoca in cui ha vissuto, ma anche per la nostra contemporaneità. Una geografia dei sentimenti che alberga in ognuno di noi e che proprio per questo motivo siamo in grado di riconoscere.
I temi dipinti sono comuni a quelli che dipingevano i suoi coetanei, scene di vita familiare, il momento del corteggiamento, il lavoro, il tempo libero, ciò che è diverso è il modo in cui questi temi vengono trasferiti su tela. Prospettiva, luce, cura del dettaglio, taglio figurativo moderno, e soprattutto un uso molto personale della riproposizione della luce.
La stradina, il secondo quadro dell’esposizione e il primo dell’artista, è una sintesi perfetta di tutti questi concetti. Vermeer ritrae uno scorcio di Delft che vede dal suo studio, sovrapponendo alla realtà, una realtà immaginata e sognata. Scene di vita quotidiana, solitamente molto identificabili nel tempo e nello spazio, in questa tela, ma più in generale nelle sue tele, hanno una valenza e qualità atemporali, e trasformano la banalità e la ripetitività del gesto quotidiano in un canone di bellezza universale. Una capacità di dialogare con espressioni artistiche di altre discipline che lo eleva a precursore della modernità.
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