Che Zeman ami i propri silenzi è cosa vera, ma è altrettanto vero che l’allenatore boemo susciti, ovunque vada, clamori inauditi. La sua macchina da gioco, quando gira a dovere, incanta nel senso doppio dell’accezione. Ovvero, rimbambolisce la squadra avversaria, nascondendole il pallone che invece balza, sapientemente ininterrotto, tra i piedi dei propri calciatori, e meraviglia il pubblico che si diverte per cotanta maestria.
Celebrato da Arrigo Sacchi, e persino dal grande Peppe Guardiola, Zdenek Zeman è praghese genuino, sembra uscito da una di quelle casine del castello cantato da Kafka, dove gli alchimisti rinchiusi da re Carlo trasformavano il piombo in oro. Sì, perché ciò che gli alchimisti del medioevo facevano con la magia, Zeman lo fa con una ferrea consapevolezza del gioco d’attacco. Un gioco che non conta tanto i goal incassati, quanto quelli rifilati all’avversario.
Partito dalla siciliana Licata, conquistò Foggia fondandovi il regno di Zemanlandia, poi altre grandi squadre, Lazio, Roma Napoli, Lecce, un passaggio di ritorno dalla sua indimenticata Foggia in serie C, e infine, lo scorso anno eccolo risalire in serie B con il Pescara, anzi il Pescara di Zeman che, come ci ricordano Oscar Buonamano e Sergio Cinquino, giornalisti pescaresi (ma Oscar, collaboratore per cultura e sport de “Il Centro” ed ex de “l’Attacco” è foggiano) ha stravinto il campionato con cifre da record, realizzando 83 punti e segnando ben 90 gol.
Gli autori de “Il Pescara di Zeman” edito dalla pescarese Carsa, ci conducono pagina dopo pagina nella magia di un campionato irripetibile, che ha riportato il Pescara in serie A dopo innumerevoli anni. Preceduti dalla lusinghiera prefazione di Arrigo Sacchi, amico ed estimatore di Zeman, Buonamano e Cinquino ripercorrono in tandem i momenti più emozionanti del passato campionato cadetto vinto dalla squadra abruzzese. Dall’idea di ingaggiare il tecnico boemo quando, in autostrada tra Milano e Pescara, lo stato maggiore del team calcistico adriatico, composto da Daniele Delli Carri e Daniele Sebastiani, preso atto dell’addio alla panchina pescarese di Eusebio di Francesco, che passava a miglior panchina di serie A, ebbe il colpo di genio di rivolgersi a Zeman. Il ritorno a Foggia non aveva dato i risultati sperati dall’allenatore ceco. Aveva condotto con onore il campionato di terza serie, con una spesa per acquisto calciatori di appena diecimila euro, e valorizzato giovani campioni quali Insigne, Sau, Romagnoli e Kone, ora tutti in serie A, tuttavia gli era sfuggito per poco la promozione in serie B cui puntava.
Dal Pescara chiese ed ottenne carta bianca. Insieme a Romagnoli e Kone, da Foggia portò con sé il fuoriclasse Lorenzo Insigne, il piccolo Messi napoletano, al quale affiancò altri giovanissimi campioni come il campano Ciro Immobile e il pescarese Marco Verratti. Tre scugnizzi che hanno confermato che il talento dei giovani meridionali è pronto ad esplodere anche nello sport, appena se ne presenti loro l’occasione.
Partita dopo partita, il Pescara si fa grande e lascia intravedere l’exploit finale, arrivato dopo una crisi psicologica conseguente al tragico avvenimento della scomparsa di Franco Mancini, ex portiere del grande Foggia di Zemanlandia, e ora addestratore dei portieri pescaresi. Scomparso a soli 42 anni, il campione materano, che dai suoi occhi spalancati, come di arcaica figura greca, esprimeva ignota meraviglia e ne concedeva altrettanta al pubblico con le sue azzardate eppur vincenti uscite a centrocampo. Ce lo ricordiamo al “Bellamì” di Foggia, jazz club d’altri tempi, dove Mancini abbandonava i guantoni da portiere per impugnare le bacchette del batterista. La sua passione per la musica “pareggiava” con quella per il calcio.
Il Pescara non fece in tempo a metabolizzare il dolore per la scomparsa di Franco Mancini che sul suo campo vide abbattersi subito un’altra tragedia, quella della morte improvvisa di Morosini, lo sfortunato calciatore del Livorno.
Passata la sventura, la squadra di Zeman ritrovò fiducia in se stessa, sgominando una dopo l’altra le grandi del campionato, infine vinto alla grande.
Celebrare la vittoria di Zeman non è solo un evento calcistico che glorifica il grande gesto atletico dei suoi calciatori, è anche un evento etico e sociale. E’ nota la polemica contro il calcio corrotto da soldi e doping, polemica culminata con lo scontro con la torinese Juventus, alla quale Zeman ha sempre cantato la verità, senza peli sulla lingua, pagandone le conseguenze. La persecuzione arbitrale dei fischietti manovrati da Moggi e similmoggi non è mancata e ancora continua. Zeman, ora alla Roma come un quindicennio fa, di goal ne deve segnare almeno quattro per essere certo di non farsi scippare il risultato dalle “sviste arbitrali”. In una recente intervista televisiva, il tecnico boemo si è così espresso: «Il calcio “si fa” a Torino e Milano. Noi invece ce lo dobbiamo giocare». Quando parla Zeman tutti zitti, a buon intenditore poche parole.
Celebre la sua considerazione sull’inquinamento del calcio moderno: «A mio parere, la grande popolarità che ha il calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza in ogni angolo del mondo c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi. Ma il calcio, oggi, è sempre più un’industria e sempre meno un gioco».
“Sdengo”, come è abitualmente nomato, è persona integra e valorosa. Amico del gioco leale e divertente, dà sempre più di quanto riceva. Egli intende lo sport nella sua accezione migliore, quale palestra di vita e di carattere per i giovani.
Il figlio di un primario ospedaliero praghese, fuggito negli anni del muro in Italia, accolto in Sicilia e poi a Foggia, a Roma, a Napoli, a Lecce, a Salerno, Avellino, ancora a Foggia, a Pescara e di nuovo a Roma, è un grande amico del Sud. E’ nel Sud che ha trovato le sue stagioni migliori, apprezzato da un popolo che ha ancora bisogno di eroi. Egli ha ripagato il Sud formando grandi campioni quali, ultimi ma non ultimi, Insigne, Immobile e Verratti.
Il libro di Buonamano e Cinquino ripercorre i momenti più belli, ma anche gli inaspettati dolori del passato della promozione della squadra adriatica in serie A. Costruito come un’avvincente partita di Zeman, in un continuo attacco di emozioni, si legge tutto d’un fiato, poiché non lascia spazio alle noiose menate difensivistiche di un calcio in via d’estinzione.
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