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Romano Prodi al Quirinale, Stefano Rodotà a Montecitorio

Quando lo scandalo di tangentopoli toccò il suo apice mediatico, le monetine tirate sulla macchina di Bettino Craxi all’uscita dell’Hotel Raphael, sua residenza romana, non c’erano i social network e internet in Italia era agli albori. La fonte principale d’informazione per i cittadini era la televisione seguita dai quotidiani. Autentici totem dell’informazione o della controinformazione (di Stato) erano a quei tempi i conduttori di trasmissioni televisive, Michele Santoro, Gad Lerner e il sempre presente Bruno Vespa. Niente di nuovo, dunque, sotto il sole.
L’onda d’indignazione popolare che accomunava tutto il Paese, da Catania a Milano, fu tanto forte che non ebbe bisogno di essere “manipolata” o “montata” più del necessario e “la politica” fu costretta a fare molti passi indietro. Ci furono alcune rinunce, ma il tempo ci dirà che non furono poi tante e strutturali, che servirono a placare gli animi e tacitare la piazza. Dopo poco tempo tutto tornò come prima del lancio delle monetine. La mala politica, raffigurata da scandali nella pubblica amministrazione che riaffiorano in superficie, è tornata più forte di prima e la distanza dal cuore dei cittadini è diventato un abisso.
Oggi a distanza di 20 anni da quegli eventi ci troviamo, per gli errori commessi fino a questa mattina dal Pd di Bersani, in una situazione quasi analoga. Cittadini delusi dai politici che hanno votato non più di due mesi fa. Politici navigati e competenti, ma incapaci di comprendere perfino l’ovvio. E così dopo aver assistito per due mesi alle farneticazioni di Beppe Grillo ieri sera è successo ciò che non mi sarei mai aspettato succedesse: «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi». Beppe Grillo arringava la folla, in Friuli Venezia Giulia credo, per perorare la causa di Stefano Rodotà. Grillo spiegava ai cittadini che lo ascoltavano chi era Rodotà e perché era il candidato di M5S alla presidenza della Repubblica. Più o meno nelle stesse ore il Partito democratico di Bersani si accordava con il Pdl di Silvio Berlusconi per eleggere Franco Marini al Colle. I sogni di Bersani però si sono infranti in aula quando la candidatura di Marini si è fermata a 521 preferenze mentre Rodotà raccoglieva 240 voti. Ai “grillini” si erano aggiunti i voti di Nichi Vendola e di Sel e alcuni voti di deputati del Pd che hanno ascoltato la piazza invece di seguire le direttive del segretario.
Stamattina il clamoroso passo indietro del segretario di Bettola. Bersani propone Romano Prodi all’assemblea dei grandi elettori del Pd ed è standing ovation.
Adesso mancano solo due, piccoli, tasselli. Avanzare la proposta a Sel e al M5S proponendo contestualmente la candidatura di Stefano Rodotà come presidente del Consiglio. Questa proposta garantisce al Paese un presidente serio e preparato con un curriculum adeguato e un governo, che potrebbe durare anche più di una stagione, al Paese.
Più che cedere alla piazza il Partito democratico si accinge a rappresentare il suo elettorato. In qualche altra chiesa direbbero «È cosa buona e giusta».

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