«Mille. E ottantanove. Il più piccolo aveva undici anni, il più vecchio sessantanove. Di donne una sola. In battaglia ne morirono settantotto…Quarantotto erano analfabeti, dieci ebrei, in ventiquattro poi impazzirono, sedici si suicidarono…Tra il 1850 e il 1930 l’America Latina ha accolto quattordici milioni d’immigrati, di cui oltre dieci in Argentina. Tra loro c’era anche chi aveva combattuto per unire l’Italia», prima della prefazione e più di una dedica. Con queste parole Paolo Brogi introduce la storia di un gruppo di uomini che, guidati da uno dei migliori italiani di sempre, ha contribuito in maniera decisiva a costruire l’Italia unita e libera di oggi. Una storia di vincenti trattati come perdenti.
Il libro è costruito su più piani temporali e su due narrazioni che si giustappongono. La storia di Edoardo Herter, medico, che sceglie di stabilirsi dopo l’Unità d’Italia in Patagonia e la narrazione di ciò che accade in Italia attraverso le vicende degli ex garibaldini. Politica e battaglie s’incontrano e si mescolano, facce di un’unica medaglia compresenti spesso nella stessa pagina. Una scelta che rispecchia e rende onore e merito alla biografia umana e politica di Giuseppe Garibaldi, il Generale. L’Italia, il sogno di un Paese finalmente unito e libero e il Sudamerica con le sue guerre d’indipendenza. Garibaldi come Che Guevara, uomini che camminano con la rivoluzione per la libertà dei popoli.
«Herter si è spinto in Patagonia per un apostolato civile, ha lasciato un paese che non esulta per i garibaldini, ha scelto un orizzonte lontano e ci è arrivato con il suo bagaglio di ferri e bisturi».
Paolo Brogi descrive attraverso singole storie e singoli accadimenti un Paese, l’Italia, profondamente e intimamente ignorante e insieme le vicende di uomini, gli ex garibaldini, costretti a sopportare ogni tipo di vessazione spesso per il solo fatto di aver indossato la camicia rossa.
Eppure la storia sembrava destinata ad avere un epilogo diverso per “i mille” se lo stesso Garibaldi dopo la battaglia vinta a Calatafimi annuncia fiero: «Soldati della Libertà Italiana! Io contavo sulle vostre fatali baionette e, credete, non mi sono ingannato…Le vostre madri, le vostre amanti, superbe di voi, usciranno nelle vie colla fronte alta e radiante…Io segnalerò al nostro Paese il nome dei prodi che sì valorosamente condussero alla pugna i più giovani e inesperti militi…». Il Generale aveva in mente un progetto diverso da quello che si stava realizzando e di questo ben presto se ne renderà conto.
«I sabaudi fanno ripicche ai marinai di Garibaldi. E scelgono chiunque al posto di un ex camicia rossa. Il 26 ottobre 1860 Cavour ha telegrafato al conte Persano: “Mi duole manifestarle la mia disapprovazione per mezzo del telegrafo relativamente alle nomine che si sono fatte nella marina napoletana…”. L’importante, pare, è escludere gente come Castiglia. Cavour si rammarica, ma non c’è posto per tipi come quello». Questa la sorte toccata a Salvatore Castiglia, primo marinaio di Garibaldi costretto a vivere ventisette anni a Odessa, sul mar Nero. Molti altri invece salparono per il Sudamerica in cerca di una nuova vita o anche solo per sfuggire ai fantasmi che popolavano le loro vite. Alcuni fecero la fortuna di quelle terre così lontane dall’Italia, eppure così vicine.
«Il 24 settembre 1870, al Senato argentino, Bartolomeo Mitre ha detto: “Senza gli italiani non avremmo legumi…come il contadino di Virgilio, perché in fatto di orticoltura staremmo nelle condizioni dei popoli più arretrati della terra…».
Luigi Pinciani è invece uno dei pochi che ce la fa. Diviene sindaco di Roma il 16 novembre del 1872 e, anche se resta al suo posto per soli due anni, riesce a lasciare un segno nella città eterna. «Pianciani ottiene dal governo nove milioni per il Tevere, fa ripulire le facciate dei palazzi, asfalta strade, costruisce marciapiedi (ce n’erano solo al Corso e in via dei Condotti), abbatte duemila colonnette per agevolare la circolazione, realizza la passeggiata del Pincio e avvia l’isolamento del Panteheon […] Contro la speculazione sui prezzi alimentari allestisce cinque macelli comunali e mette in piedi cucine economiche. Inaugura venticinque scuole, la scuola superiore femminile, la scuola serale per i contadini, la scuola operaia […] E fa costruire case, soprattutto case per i più bisognosi».
Tranne qualche rara eccezione la storia degli ex garibaldini è perciò quasi la storia di una diaspora. Abbandonati a se stessi, considerati come un peso per la nascente nazione, molti vagheranno senza fissa dimora e in condizioni economiche molto precarie. Due di loro saranno addirittura con il generale Custer a Little Big Horn. Carlo Rudio e Giovanni Martini «il trombettiere che ha portato invano l’ultima richiesta di rinforzi da parte di Custer…»
Il “gran corazòn”, il soprannome che si era guadagnato sul campo Edoardo Herter, riposa in Patagonia e nel 1963, «Tapalqué ha colto l’occasione del centenario della sua nascita come cittadina della pampa» per ricordarlo con una targa. Nel giugno del 1890 la tomba di Giuseppe Garibaldi è stata dichiarata monumento nazionale.
Il libro di Paolo Brogi ha il grande merito di riportare alla luce, nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, le vicende umane di alcuni dei protagonisti che hanno combattuto per “costruire” il nostro Paese. Forse non siamo in grado di affermare con certezza che quella fosse la “meglio gioventù” dell’epoca certo dobbiamo ringraziarli e rendergli onore e merito per sempre. E soprattutto non dimenticare.
Titolo La lunga notte dei mille
Autore Paolo Brogi
Editore Aliberti editore
Anno 2011
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