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Gli occhi gonfi di lacrime e rossi di dolore di Neymar da Silva Santos Júnior che rimbalzano dal Brasile, nel video in cui si accomiata dal Mondiale dei Mondiali per una frattura procuratagli da un intervento falloso di un avversario, restituiscono al gioco del calcio e a uno dei suoi protagonisti principali di oggi, un’umanità e una fragilità che le idiozie di pochi, spesso, ci fanno dimenticare.
E così il Mondiale del Brasile perde uno dei suoi protagonisti principali, per i brasiliani “il” protagonista principale. Quegli occhi e quelle lacrime, c’è da scommetterci, resteranno nella memoria collettiva di chi ama il calcio come uno dei momenti da ricordare di questo sport. Quelle lacrime ci dicono inoltre che non vedremo, nelle partite più importanti del mondiale, la leggerezza e la bellezza del gesto tecnico oltre alla gioia che ogni singola giocata di Neymar sa regalare a tutti coloro che amano questo gioco.
I brasiliani sono abituati alle lacrime dei campioni in maglia verdeoro. In particolare alle lacrime di chi indossa la maglia numero 10, la maglia più prestigiosa di tutte. Oggi la indossa Neymar, l’altro ieri la indossava Edson Arantes do Nascimento, meglio conosciuto come Pelé.
«Non aveva ancora compiuto venti anni quando il governo del Brasile lo dichiarò patrimonio nazionale e ne proibì l’esportazione. Vinse tre campionati mondiali con la nazionale brasiliana e due con il Santos […] Una volta fermò addirittura una guerra: Nigeria e Biafra firmarono una tregua per vederlo giocare […] Era nato in una casa povera, in un paesino remoto, e arrivò alla vetta del potere e della fortuna, dove i neri solitamente hanno l’entrata proibita […] noi che abbiamo avuto la fortuna di vederlo giocare, abbiamo ricevuto un regalo di rara bellezza: momenti a tal punto degni dell’immortalità, che ci consentono di credere che l’immortalità esiste», è Eduardo Galeano che scrive, uruguagio di Montevideo, uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo. Galeano, riferendosi a “O Rei” parla, addirittura di immortalità.
La storia calcistica di Pelé può aiutare Neymar in questo suo, legittimo, momento di sconforto.
Dopo aver vinto il mondiale del1958 in Svezia, la Perla Nera si presenta ai nastri di partenza del Campionato del mondo del 1962 in Cile pronto a regalare il bis. La sua fama era cresciuta oltre ogni più rosea aspettativa nonostante non avesse ancora compiuto ventidue anni. Nella gara di esordio di quel mondiale, Pelé aveva la stessa età di Neymar oggi, il Brasile vinse facilmente la partita contro il Messico. Pelè fu subito protagonista con una rete e un assist per Zagallo e la partita si chiuse con il risultato di 2-0 per i verdeoro. La seconda gara si disputa il 2 giugno, l’avversario è la Cecoslovacchia, e qui succede l’imponderabile. Pelé s’infortuna malamente e non potrà più giocare fino alla fine di quel campionato. La sua squadra vincerà comunque il titolo trascinata da un Garrincha in formato mondiale che alla fine del torneo sarà proclamato miglior calciatore del campionato. Lo ha ricordato lo stesso Pelé con un messaggio molto affettuoso nei confronti del giovane Neymar. «Anch’io m’infortunai durante i Mondiali del 1962 in Cile e dovetti rinunciare al resto del torneo, ma Dio ha aiutato il Brasile a continuare e vincere il Mondiale. Spero che lo stesso accada quest’anno con la nostra Seleçao […] Neymar è cresciuto nel mio Santos e fa male al cuore sapere che non potrà più giocare nel Brasile al Mondiale».
Le disavventure con la maglia del Brasile per Pelé non terminano in Cile, ma continuano anche al Mondiale successivo, quello del 1966 disputatosi in Inghilterra. Il Mondiale del gol fantasma che permise ai sudditi della Regina di vincere quello che rimane il loro unico titolo. Anche in Inghilterra Pelé va a segno nella gara inaugurale vinta dal Brasile contro la Bulgaria. Rete che gli consentì di diventare il primo calciatore al mondo ad aver fatto gol in tre campionati del mondo. Ma proprio in quella partita che gli permise di stabilire uno dei tanti record della sua carriera, tal Žekov, difensore bulgaro, intervenne duramente sul suo ginocchio e lo costrinse a saltare la partita successiva che i suoi compagni persero per 3-1 contro l’Ungheria. La terza partita del girone metteva di fronte il Brasile di Pelé e il Portogallo di Eusébio. In questa occasione il ruolo di castigatore di talenti lo interpreta João Morais che, con la complicità dei suoi compagni di squadra, riduce l’apporto della Perla Nera ai minimi termini. Pelé entra in campo con il ginocchio infortunato bendato ma Morais non si lascia intenerire e anzi colpisce duro proprio all’altezza della benda. Non essendo consentite le sostituzioni, il fuoriclasse brasiliano del Santos fu costretto a giocare in condizioni così disagevoli che l’indussero a dichiarare, alla fine di quella partita, che non avrebbe mai più partecipato a un campionato del mondo. Senza il suo numero 10 al meglio della condizione, il Brasile è eliminato, per la prima volta nella sua storia, al primo turno.
Per sfortuna dell’Italia, quattro anni più tardi in Messico, O Rei decide di giocare il Mondiale con la maglia verdeoro e si presenta in perfetta forma fisica ai nastri di partenza indossando, ovviamente, la ormai mitica maglia numero 10. Gioca e vince il suo terzo Mondiale segnando anche un bellissimo gol nella finale contro gli azzurri restando, come sospeso, in aria per un tempo infinito. Ecco la pagella e il giudizio che Gioannin Brera scrisse su Pelé dopo la finale di Mexico 70: «Ha incominciato con Bertini e subito ha fatto teatro perché l’arbitro notasse come gli interventi dell’italiano non fossero del tutto ortodossi. Quando gli hanno servito dalla sinistra un pallone lungo e teso, ha saputo staccare di almeno mezzo metro più del bravissimo Burgnich che pure non è l’ultimo dei micchi in fatto di elevazione. Segnato il gol, Pelé ha badato a costruire per i compagni e non sempre è riuscito a farsi luce perché avere addosso un mastino come Burgnich non è comodo per nessuno, neppure per Pelé. 7,5».
Dopo cinquantadue anni dunque si ripete la stessa scena e va in onda lo stesso film. Ai danni del calciatore più forte e talentuoso del Brasile, il calciatore con la maglia numero 10, viene commesso un fallo gratuito che lo costringe a uscire in barella tra lacrime e urla di dolore. Juan Camilo Zúñiga, il colombiano che gioca nel campionato italiano con la maglia del Napoli e la cui fama resterà indissolubilmente legata a questo infortunio, entra in maniera scomposta alle spalle del brasiliano e gli procura la frattura della terza vertebra lombare. Il campionato del mondo di Neymar da Silva Santos Júnior di anni ventidue, finisce in quello stesso, preciso, istante. Non finisce però il suo sogno di diventare campione del mondo alla stessa età di Pelé: «Non potrò realizzare il sogno di giocare la finale ma posso ancora vincere il campionato. Mi hanno tolto il sogno di disputare la finale del Mondiale, ma non è finito il sogno di essere campione del mondo. Mancano due partite e ho la certezza che i miei compagni faranno di tutto per sollevare questa Coppa».
Con gli occhi gonfi di lacrime e rossi di dolore il giovane campione brasiliano ammette che il suo sogno di bambino si è spezzato. Lo stesso sogno di bambino che aveva un altro grande numero 10, documentato da un intenso filmato in bianco e nero che lo ritrae piccolissimo mentre palleggia in un campo brullo di periferia, e che realizzerà nel 1986 in Messico segnando il più gol della storia del calcio. Quel bambino vestirà la maglia albiceleste dell’Argentina, il suo nome era Diego Armando Maradona. Sempre dalla penna di Galeano attingo un ultimo pensiero per salutare Neymar. «Una giornalista chiese alla teologa tedesca Dorothee Sölle: “Come spigherebbe a un bambino cosa è la felicità?”. “Non glielo spiegherei”, rispose, “gli darei un pallone per farlo giocare. Il calcio professionistico fa tutto il possibile per castrare questa energia di felicità, ma lei sopravvive malgrado tutto. E forse per questo che capita che il calcio non riesca a smettere di essere meraviglioso”».
L’augurio per il numero 10 del Brasile, mio e, sono certo, di tutti coloro che amano il gioco del calcio, è che già dai prossimi Mondiali possa riprendersi il suo sogno, magari segnando in finale il gol della vittoria da dedicare a tutti i bambini del mondo che permettono al calcio di esistere e agli adulti di divertirsi ed esultare, ogni volta in modo diverso e unico, per un gol.
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