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Un pezzo d’Africa nel cuore di Pescara: suor Olga Pignatelli

É morta, oggi, all’età di 106 anni suor Olga Pignatelli. L’ho conosciuta tanti anni fa, ma ricordo come fosse oggi la luce dei suoi occhi, la grazia e l’umanità che ti avvolgeva standole vicino.
Ha svolto un lavoro immenso e impagabile per Pescara e tutti siamo in debito con lei. Una donna meravigliosa.
La intervistai per Sipario nel 1997, ho cercato quell’intervista e ho deciso di ripubblicarla per farla conoscere meglio a chi non ha avuto la fortuna di conoscerla.
La terra ti è già lieve suor Olga. Un bacio bello, bellissimo. E grazie.

Per poter realizzare il suo sogno e andare in Africa a fare la missionaria Suor Olga Pignatelli, abruzzese della provincia dell’Aquila, laureata in Lettere, nell’agosto del 1950 si reca a Londra dove per un anno studia la lingua e gli usi e i costumi della Famiglia Reale. In quegli anni l’Uganda è un Protettorato inglese e per potersi recare in Africa a svolgere qualsiasi mansione, dal volontariato all’insegnamento occorre, come del resto per qualsiasi altro Paese colonizzato, esportare e imporre i modi di vita del Paese colonizzatore. Dopo un anno suor Olga, che è una missionaria comboniana – Ordine che prende il nome da Daniele Comboni un giovane sacerdote di Limone sul Garda che nella prima metà dell’800 si reca in Africa tra molte diffidenze e difficoltà e si batte per liberare gli africani dalla schiavitù – finalmente parte per l’Uganda con la missione di dare dignità alla figura della donna attraverso la scuola. Inizia così il suo lungo soggiorno in Africa che durerà quarantanni, venti dei quali trascorsi in Uganda, sedici in Kenia e sei in Etiopia.


Nel 1991 per motivi familiari torna in Italia e dopo varie vicissitudini vien coinvolta nel progetto che tuttora segue: la costruzione di un Centro Caritas di accoglienza a Pescara. In realtà il progetto parte un anno prima del ritorno di suor Olga, nel 1990, e i fautori sono il nuovo Vescovo Mons. Cuccarese e Don Nicola Ielo della Caritas. Suor Olga vorrebbe tornare in Africa, ma Don Nicola riesce ad essere molto persuasivo.
Gli africani che vengono sempre più numerosi in Italia per via della fame e delle guerre cruente che attanagliano i loro paesi e il conflitto nella ex-Jugoslavia che fa giungere a Pescara un numero sempre crescente di rifugiati, sono gli argomenti che convincono suor Olga ad accettare.
«Per me questo lavoro è la continuazione di una missione, perché la missione non è esclusivamente un fatto geografico. Che cosa è una missione? Un atto d’amore per il prossimo.».
Il 1 giugno del 1991 si inaugura la mensa Agape “Daniele Comboni”. Da quella data, per 365 giorni ogni anno, al 12 di via Bardet a Pescara viene soddisfatto il primo e più elementare bisogno dell’uomo: mangiare. Chiunque si presenti viene servito, senza troppe inchieste, senza interrogatori. Una doccia, vestiti puliti e un pranzo caldo questo offre il Centro Caritas Agape. Vengono serviti dagli ottanta ai cento pasti al giorno e ci sono stati periodi in cui gli ospiti della mensa provenivano da ventotto Paesi diversi, un vero crocevia multietnico. Suor Olga si trova a suo agio in questo intreccio di etnie perché è abituata a vivere tra culture diverse, tra uomini che hanno formazione e religione diversa dalla sua. E sicuramente con questo modo di vivere senti meno la nostalgia dell’Africa e dei suoi grandi spazi liberi.
«Gli africani hanno un senso religioso molto spiccato. Non c’è un africano che non senta la presenza di Dio; sono contemplativi per natura. Il motivo di tutto ciò, io credo risieda nel silenzio. Il profondo silenzio dell’Africa. Davanti a questa solitudine, davanti a questa uniformità, di deserto o di foresta, tu ti senti una piccolissima cosa.».
Duecento volontari indicati dalle rispettive parrocchie di provenienza gravitano attorno al Centro con mansioni e compiti diversificati, sei giovani svolgono il loro servizio civile, così come ogni giorno la signora Lidia si occupa della cucina, il tutto con la supervisione di suor Olga.
Chi fa la spesa? Chi procura i vestiti? Chi segue i ragazzi?
«Questa mensa la finanzia la Provvidenza di Dio. Ogni giorno abbiamo qualcuno che ci porta qualcosa. Non compriamo nulla. Tutti sanno che c’è la mensa. Chiunque sa di avere dei fratelli che hanno bisogno viene da noi e ci porta qualcosa.».
Così dietro quel cancello di ferro grigio chiaro, ogni giorno si ripete la stessa scena e una piccola, minuta, donna, insieme a tanti altri uomini e donne che non hanno volto, fanno sentire meno soli uomini e donne ai quali il nostro mondo non riesce ancora a dare risposte adeguate di accoglienza e integrazione.

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