Il 14 gennaio del 1976 è un giorno che ricordo bene. Era il primo giorno in edicola per la Repubblica e, ma questo accadeva e continua ad accadere ogni anno, l’anniversario di matrimonio dei miei genitori.
Quel giorno me lo ricordo bene perché quando tornai a casa per pranzo (non si usava dire per colazione perché al sud la colazione si fa al mattino appena svegli e nel 1976 si pranzava tutti insieme con la tavola apparecchiata e imbandita, primo, secondo, contorno, frutta e caffè), mia madre mi disse: «Oscarino un altro giornale?».
Avevo da poco compiuto tredici anni e, come molti dei miei amici, leggevo tutti i giorni almeno due quotidiani e tanti, tantissimi fumetti. Tex, Zagor, Diabolik, Topolino ovviamente, I Fantastici Quattro, l’Uomo Ragno e il neonato Mister No. Li collezionavo tutti.
Il primo era Il Corriere dello Sport, il lunedì soprattutto mi svegliavo prestissimo per correre in edicola e prendere la mia copia non sgualcita. Il secondo cambiava quasi ogni giorno, con più frequenza leggevo il Corriere della Sera e l’Unità. Questi ultimi due non li sentivo miei, li leggevo, ma non li sentivo miei.
Finalmente arrivò la Repubblica. Non è che capissi bene tutte le dinamiche politiche e culturali che avevano indotto imprenditori e giornalisti a fondare un nuovo giornale che si poneva l’obiettivo di diventare il giornale degli italiani. Però istintivamente, sin da quel primo numero sentii che quello era il mio giornale.
Non mi sbagliai. Era nuovo, giovane, progressista, di sinistra. L’ho letto tutti i giorni per tantissimi giorni e i giornalisti che ci scrivevano diventarono miei compagni di viaggio. Ho imparato molto da la Repubblica. Gli debbo molto.
Oggi quella storia, quella gloriosa storia del giornalismo italiano è finita. Da oggi il giornale in edicola ha una nuova proprietà: la famiglia Agnelli.
Sarà un’altra cosa, un altro giornale.
E mi sembra di essere tornato a prima di quel 14 gennaio 1976, quando, Corriere dello Sport a parte, non riuscivo a sentire come mio nessuno dei quotidiani in edicola.
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