le mie recensioni


Visit Us On FacebookVisit Us On InstagramVisit Us On LinkedinVisit Us On YoutubeVisit Us On PinterestCheck Our Feed

Gente di lago, Fulvio Fo

Il mondo dell’editoria italiana è sempre alla ricerca di “nuovi casi” da pubblicare. Ciò può riguardare indifferentemente il contenuto (il romanzo) o l’autore (il “caso umano”). In presenza di uno di questi due ingredienti il libro vede la luce e può partire la macchina della promozione che ne decreterà il successo, sempre più spesso non duraturo, dell’autore o del libro stesso. Tutto diventa spettacolo e anche le presentazioni dei libri non sfuggono a questa regola; in alcuni casi vengono allestiti veri e propri show in cui tra i tanti invitati è assente proprio la letteratura.Gente di lago, il nuovo romanzo di Fulvio Fo, offre lo spunto per approfondire un argomento di cui si scrive sempre meno e che potremmo definire letteratura a margine, di confine. Come di confine e certamente marginali sono le terre da cui provengono e di cui narrano autori come Rocco Brindisi, da Potenza-Basilicata, Pascal D’Angelo, da Introdacqua-Abruzzo e lo stesso Fulvio Fo da Luino-Lombardia. Autori che basano la costruzione della loro narrazione solo ed esclusivamente sulla scrittura; parole che bastano alle parole, che non hanno bisogno di null’altro per esistere. Una narrazione che rende conto di una realtà già disvelata e che perciò non necessariamente deve sempre e in ogni sua pagina inventarsi nuove visioni del mondo.
Fulvio Fo racconta storie minime di cui non si occupa più nessuno. Storie al margine, come al margine è il luogo teatro degli accadimenti. Persone tranquille come il lago che fa da cornice alle loro vite assurgono qui a una dimensione epica. Luoghi e persone che altrove non avrebbero spazio e tempo per esistere in quella forma e con quella presenza divengono qui protagonisti.
Parallela corre la storia del Bel Paese. Una storia fatta di ipotizzate grandeur e di parole seguite sempre da punti esclamativi. Al contrario, nella piccola comunità di Porto Valtravaglia il significato delle parole non necessita di punti esclamativi, e la modernità che qui ha il colore dell’Alfa rossa di Tazio Nuvolari può essere assorbita e fatta propria autocostruendosi il futuro.
Sono frammenti, storie ordinarie di persone ordinarie dove non alberga la nostalgia, dove si respira ciò che sarebbe potuto essere e ciò che invece non è stato. Al centro delle vicende umane narrate la comunità di appartenenza con tutte le sue sfumature e caratterizzazioni. Come i soprannomi per esempio. Il soprannome denota molto di più del nome. Il nome è imposto dai genitori ben prima dell’affermazione del proprio essere; il soprannome invece descrive e aggiunge al nome le caratteristiche proprie della persona. Quando non c’era Internet e la televisione era un lusso per pochi, i soprannomi e la loro storia erano le telenovelle che riempivano le lunghe giornate dei posti come Porto Valtravaglia.
Il frammento è la tecnica con la quale è scritto il romanzo, mentre gli elementi che compongono la narrazione si ripetono uguali nel tempo: il sesso, il lavoro, la famiglia.
Aristide, Teresina, Martino, Caterina, i personaggi messi in scena da Fulvio Fo, li abbiamo conosciuti anche noi. Le loro storie sono le storie, sempre uguali eppure sempre diverse, che attraversano l’uomo e il suo passaggio sulla Terra. Storie d’amore, perché in ultima analisi tutte le storie sono storie d’amore. Storie singole, eppure legate le une alle altre inestricabilmente. Parole che si tengono insieme lontano dal clamore mediatico o dalle mode. Sono parole che narrano la vita. Quella piena di sorprese che nessuna fantasia saprà mai partorire. Parole che narrano storie che fanno la Storia. Cristalli depositati sul fondo di questa vita confusa e caotica e perciò da custodire con più cura. Forma e carattere del contenuto sono in Fulvio Fo gli unici elementi che determinano la letteratura, caratteristica che accomuna il lavoro di quest’ultimo a quello di Rocco Brindisi o Pascal D’Angelo. Il primo, poeta e narratore lucano, sempre in bilico tra poesia e racconto, più che i personaggi mette in scena proprio le parole, alle quali demanda non solo la forma ma il contenuto stesso del narrare. E così le donne piuttosto che i bambini divengono gli strumenti attraverso i quali le parole assumono una forma compiuta, che rimanda a sua volta a una forma sublime di incompiutezza e di leggerezza. Ovviamente qui, dove tutto è margine, lo show business non alligna.
Tutto è margine anche in Pascal D’Angelo, abruzzese d’Introdacqua, piccolo paese in provincia dell’Aquila, emigrato in America a cercar fortuna che arriva a New York senza conoscere la lingua, a scrive il suo primo romanzo proponendo la vita e l’esperienza dell’emigrazione come contenuto di una forma scritta in un inglese semplice e lineare. L’uomo che «lasciò il piccone e la pala, per diventare poeta…», con Son of Italy, the autobiography of Pascal D’Angelo diviene così un riferimento per la letteratura di genere e trasforma in patrimonio condiviso le vite ordinarie di gente ordinaria vissuta al margine della società e fino ad allora in condizioni di semiclandestinità.
Un uomo del profondo nord, Fulvio Fo, un meridionale come Rocco Brindisi, e l’abruzzese Pascal D’Angelo, pur percorrendo strade diverse, ricreano e reinventano un’idea di comunità e di nazione come e più di tanti inutili proclami propagandistici. Costringendoci a ripensare all’Iberismo teorizzato da José Saramago, che ci parlava di un’altra unità politica e letteraria. Ma questa è un’altra storia.

Titolo
Gente di lago. Ai margini della storia
Autore Fulvio Fo
Editore Alacràn
Anno 2010

Condividi
  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • MySpace
  • RSS

Leave a Reply