Questo articolo è pubblicato sul quotidiano Roma, il giornale di Napoli
Con Il male che non c’è, Giulia Caminito torna a raccontare una generazione sospesa
La scrittura di Giulia Caminito, ricca di dettagli ma mai ridondante, è tagliente e diretta. Una lingua precisa, adatta a raccontare la condizione di Loris, di Jo e della loro generazione: una generazione che ha appiattito le differenze, accorciato le distanze e che si rivolge a tutti nello stesso modo, con lo stesso tono. Una miscela di precarietà e solitudine. Caminito introietta questa postura e la restituisce al lettore, che avverte pagina dopo pagina il bisogno di un centro di gravità. Perché è proprio la solitudine, insieme alla precarietà, a rendere tutti dipendenti da qualcosa. Oggi, quasi sempre, questo qualcosa è internet, con le sue infinite declinazioni. Ognuno con la sua solitudine, ognuno con il suo cellulare.
Eppure, c’è stato un tempo senza internet, senza cellulari, senza connessioni. Fatto di esperienze concrete, di contatti fisici. Di terra, di ciliegie finte sugli alberi, di colombi. Il tempo di nonno Tempesta, il giramondo innamorato del suo orto. Centro di gravità permanente, l’archè di tutte le cose, radicato nella terra che calpesta, il punto in cui tutto converge, il luogo dove si compie il ciclo completo della vita. «L’orto era una mezzaluna, a sinistra le mele cotogne, a destra le piantine di fragola, al centro gli alberi da frutto, insalate, melanzane, zucchine, zucche e pomodori […] quel semicerchio gli bastava, contava più del giardino, contava più della casa, permetteva l’esperienza della nascita e della morte e di quello che arrivava dopo, quando tutto si faceva marcio e tornava terreno».
Il romanzo si muove su tre tempi: presente, passato e Catastrofe. Quest’ultima, pur vivendo accanto a Loris, arriva dal passato. Tutto ciò che pulsa e dà vita appartiene al passato; il presente, invece, è straziante. Catastrofe ne è la congiunzione. In alcune pagine ispirate Caminito fonde i due piani temporali: l’ipocondria del presente diventa più cupa, la vitalità del passato più luminosa. È in questo contrasto, che ha come protagonista Loris, il cuore del libro: un’esposizione dei fatti che si fa giudizio.
Loris è il sognatore, Jo il disincanto. Poi c’è Catastrofe, nata nella cantina di nonno Tempesta e da allora inseparabile. C’è chi le dà una forma, come Loris, e chi no. Ognuno di noi, però, conosce Catastrofe: ci accompagna, ci bilancia, ed è paradossalmente portatrice di equilibrio. Sopra tutti si staglia nonno Tempesta, riferimento etico e morale. «Il nonno ospitava un muratore della Romania, si chiamava Gelo ed era arrivato in Italia da due anni […] lo aveva fatto lavorare un paio di volte e ci aveva fatto amicizia, così dopo un po’ non se l’era sentita di riportarlo là, dove dormiva con altre dieci persone e c’era un bagno ogni venti di loro».
Il male che non c’è è un romanzo vero e pieno, che nella finzione parla di persone reali: figli, nipoti, genitori, noi stessi. Caminito invita a riflettere su ciò che siamo diventati e suggerisce possibili vie alternative. Crea uno spazio di riflessione collettiva: il suo libro è materia viva, perfetta per i gruppi di lettura, per interrogarsi sul nostro tempo. È un testo che indaga le inquietudini, quelle di cui siamo coscienti e quelle che ignoriamo.
No wifi no party: viene qui ribaltato dalla concretezza materiale dell’orto di nonno Tempesta e da un finale che più pirotecnico non si può.
«Esistono i mali evidenti, le ferite, ma esistono anche i mali oscuri – si è detto – quelli che non li vedi ma sono peggiori, sono i più crudeli».
Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.