Infinite Jest è il libro più importante di David Foster Wallace. Leggendo i giudizi dei critici riportati nella seconda e quarta di copertina, (edizione Einaudi) si capisce subito che siamo di fronte a un’opera che ha cambiato il corso delle cose nella letteratura contemporanea. La lettura di Infinite Jest è infatti un’esperienza unica, un’esperienza da fare per chi ama la letteratura.
Una scrittura nuova non s’inventa, ma nasce e si sedimenta un po’ alla volta nella testa di chi scrive per emergere, all’improvviso, impietosa e irrefrenabile come la lava incandescente di un vulcano che al suo passaggio cambia per sempre un paesaggio. Così è stato per la scrittura di Infinite Jest.
Una moltitudine di personaggi si susseguono, sovrappongono, giustappongono in un mondo complesso e pieno di colori. Dialoghi sospesi che lasciano spazio a spiegazioni, chiarimenti, precisazioni e che si riprendono il centro della scena attraverso un semplice segno grafico. Una sorta di caos preordinato che richiede una certa concentrazione e attenzione soprattutto all’inizio della lettura, quando ti trovi catapultato in un mondo nuovo. Poi, pian piano, la finzione filmica di Infinite Jest ti rapisce e quando ciò avviene, in quel preciso istante, tutto cambia. Ora finalmente sei dentro il blob di David Foster Wallace, viaggiatore tra i viaggiatori, e puoi apprezzare la grandezza della sua scrittura: una grandezza che risiede nella semplicità. Less is more teorizzava all’inizio del secolo un grande architetto tedesco che conobbe la sua grande fortuna e fama proprio in America.
In un’intervista per The Believer con Dave Eggers, David Foster Wallace rispondendo ad una domanda su John McCaine e sul ruolo degli scrittori nella società contemporanea, usa un’espressione meravigliosa nella sua essenzialità: «Gran parte di ciò che è complicato non è sexy».
David Foster Wallace ha avuto una vita breve, brevissima, ed è stato un genio.
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