Centocinquant’anni è un anniversario da segnare in rosso sul calendario e da celebrare. E se qualche ministro, pro tempore, della Repubblica boicotterà queste celebrazioni poco male, «Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa». Perciò buon 17 marzo all’Italia e buon 17 marzo a tutti noi.
Che sia una celebrazione gioiosa, lunga e capace di far emergere idee e contenuti. Abbiamo la necessità di approfondire lo studio della nostra storia recente per comprendere meglio l’origine e la natura delle difficoltà dell’oggi.
Eccessiva frammentazione e litigiosità, corruzione e trasformismo sono all’origine della classe dirigente del nostro Paese che si dimostra anche per queste ragioni incapace di governare un processo complesso com’è quello dell’unificazione. In questo clima maturano le condizioni che determinano il grave ritardo infrastrutturale del sud rispetto al nord del Paese. Non si riesce ad arginare il potere della criminalità organizzata e il suo radicamento nei territori che anzi progressivamente estende i suoi interessi aggredendo e “occupando” la regione più europea d’Italia, la Lombardia. L’Italia funziona male perché la sua classe dirigente è mediocre, spesso inesistente e perciò non in grado di gestire al meglio il Paese. Questo è il cuore del problema.
Negli ultimi centocinquant’anni, i primi per l’Italia così come la conosciamo oggi, il mondo è cambiato diverse volte, almeno tre in maniera sostanziale. I primi due eventi che hanno determinato questi cambiamenti sono inequivocabilmente le due guerre mondiali, 1914/18 e 1939/45, che hanno anche ridisegnato i confini geopolitici del pianeta. Il corso della storia muta in maniera significativa per la terza volta a partire dal 9 novembre 1989 con la caduta del Muro di Berlino. Le dinamiche che quest’ultimo cambiamento ha messo in movimento sono ancora in fase di evoluzione e gli effetti economici, politici e sociali, non ancora completamente comprensibili e stabilizzati.
Il periodo migliore che l’Italia ha vissuto in questo arco temporale che ci separa dalla nostra data di nascita, il 1861 appunto, è senza dubbio quello che va dal 1945 agli inizi degli anni settanta. In quegli anni la “meglio gioventù” che l’Italia abbia mai avuto, quella che diede vita alla Resistenza antifascista, ha ricostruito il nostro Paese trasformando una nazione contadina nella settima potenza economica del mondo. Sempre in quegli anni, tra il 1945 e il 1970, non c’era il federalismo e non c’erano nemmeno le regioni, l’Italia, unita e coesa, fu capace di esprimere il meglio di sé riuscendo a valorizzare tutte le risorse che aveva a disposizione. Si abbia perciò il coraggio di far cadere quella foglia di fico che è diventata il federalismo, panacea di tutti i nostri mali. Non è lì l’unica soluzione ai nostri problemi. Occorre una nuova Resistenza. Una Resistenza al degrado sociale, civile e politico dell’Italia di oggi. Una “meglio gioventù” del nuovo millennio che sappia ri-costruire ancora una volta l’Italia con un progetto che questa volta parta dal Sud e risalga tutta la penisola. Un progetto capace di coinvolgere emotivamente, culturalmente e politicamente tutto il Nord per ri-costruire un’altra Italia. Nel 1945 si è ricostruito sulle macerie delle città bombardate e sulle macerie politiche del fascismo, oggi si deve ri-costruire sulle macerie sociali, economiche, politiche e morali che una classe dirigente incapace di assolvere al suo compito consegna alla storia.
Dobbiamo ri-costruire un’Italia unita e coesa, isolando tutte quelle forze politiche interessate esclusivamente a dividere il Paese. In quale altra nazione sarebbe possibile per una forza di governo boicottare pubblicamente le celebrazioni dell’Unità del proprio Paese?
Piero Calamandrei nel discorso agli studenti milanesi del 1955 così si congeda: «Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione».
Non più montagne o carceri ma i luoghi simbolo del degrado che ci sta sommergendo e mortificando saranno i luoghi di pellegrinaggio della nuova Resistenza. La Casal di Principe della camorra napoletana o la Corleone della mafia siciliana. Da lì, da quei luoghi, deve partite la riscossa morale, civile, economica e politica dell’Italia. Riconquistare quei territori alla malavita organizzata e raccontare ciò che quei luoghi rappresentano è la premessa per costruire un futuro migliore perché un popolo che non si sa raccontare è un popolo morto.
È oggi il tempo di andare in piazza a festeggiare l’Italia. Festeggiarla e cantarla. Viva l’Italia, «l’Italia con le bandiere, l’Italia nuda come sempre, l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste, viva l’Italia, l’Italia che resiste».
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