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David Foster Wallace è morto, viva David Foster Wallace. Ovvero del mal di vivere.

L'Attacco_27 settembre 2008

La società nella quale viviamo, la società d’inizio millennio, è una società liquida. Una condizione accentuata, accelerata, dall’attentato dell’11 settembre alle torri gemelle di New York. Quel giorno, con le torri, sono precipitati nel vuoto cemento e acciaio ma anche corpi di uomini e donne, e con loro sono finite nel grande buco di “Ground zero” molte certezze della società che abitiamo. Una società nella quale si naviga a vista, in cui tutto è come sospeso e tutto cangia molto rapidamente, fluttua. C’è chi si fa carico più di altri di queste fluttuazioni, sono i più sensibili, spesso sono artisti. Sarà per questo motivo che non è raro leggere notizie di artisti che si suicidano. E tra gli artisti, molti scrittori cercano la morte.
Così è arrivata in questi giorni la notizia della morte di David Foster Wallace. Le cronache del New York Times e del Los Angeles Times ci dicono che la moglie di DFW, rientrando a casa, a Claremont in California, ha trovato suo marito con un corda la collo che penzolava nel soggiorno.
«Preferirei vivere fino a cinquant’anni» disse in un’intervista con Dave Eggers, è morto prima a quarantesi anni.

David Foster Wallace era considerato uno degli scrittori più importanti d’America e perciò del mondo. Un suo libro, Infinite Jest pubblicato in Italia prima da Fandango e successivamente da Einaudi, con le sue 1300 pagine è stato un caso letterario ed è un riferimento per chiunque voglia cimentarsi con la letteratura contemporanea. Non è un caso se il Times ha inserito Infinite Jest tra le cento migliori opere in lingua inglese di tutto il ’900. Inventore di forme di narrazione nuove, ha lasciato tracce che portano al suicidio in molte delle sue pagine. Un aspetto che lo accomuna ad altri scrittori che hanno cercato la morte e l’hanno trovata proprio con il suicidio.
Ci si uccide perché si è malati e si sa che presto si morirà comunque. Ci si uccide per allontanare spettri del passato. Ci si uccide per il mal di vivere.
Di questa «eletta schiera» l’ultimo a suicidarsi in ordine temporale prima di David Foster Wallace è stato André Gorz, uno dei grandi intellettuali d’Europa, antesignano di quella che possiamo definire l’ecologia politica e delle tematiche legate all’anticapitalismo che in un passaggio del suo ultimo libro, Lettera a D. Storia di un amore, scrive: «La notte vedo talvolta la figura di un uomo che, su una strada vuota in un paesaggio deserto, cammina dietro a un carro funebre. Quest’uomo sono io. Sei tu che il carro funebre trasporta. Non voglio assistere alla tua cremazione; non voglio ricevere un vaso con le tue ceneri. Sento la voce di Kathleen Ferrier che canta “Die Welte ist leer, Ich will nicht leben mehr¹” e mi sveglio. Spio il tuo respiro, la mia mano ti sfiora».
La stesura finale del libro è del giugno 2006, mentre Gorz si è suicidato con la moglie il 22 settembre del 2007.
Un anno prima che David Foster Wallace nascesse, la mattina del 2 luglio del 1961 si sparava alla tempia Ernest Hemingway. Premio Pulitzer nel 1953 e vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1954, Hemingway, dopo una vita vissuta intensamente cerca e trova la morte. Anche lui scrive sulla morte pensieri che dopo il suicidio possono essere letti come tracce di ciò che sta per accadere.
«Morire è una cosa molto semplice. Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto morire sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto […] E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse».
Gli spettri del passato sotto forma di vessazioni personali ci parlano della morte quasi filmica di Virginia Woolf che si annegò nel fiume Ouse con le tasche piene di sassi. La presunta violenza sessuale subita dai fratellastri unita alla morte prematura della madre provocò in lei forti e continui disturbi. In questo caso più che trovare traccia nella sua produzione letteraria abbiamo il biglietto che lasciò al marito.
«Carissimo. Sono certa che sto impazzendo di nuovo […] Comincio a sentire voci e non riesco a concentrarmi. Quindi, faccio quella che mi sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso tutto quello che un uomo poteva essere. So che ti sto rovinando la vita […] Vedi non riesco neanche a scrivere degnamente queste righe […] Voglio dirti che devo a te tutta la felicità della mia vita. Sei stato infinitamente paziente con me. E incredibilmente buono. Tutto mi ha abbandonata tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinare la tua vita. Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi».
Il peso di un passato duro e difficile da dimenticare ha accompagnato anni inquieti di molti scrittori che troveranno in una morte cercata e voluta anche la fine degli incubi del presente. È il caso, ad esempio, di Walter Benjamin, autore di Angelus Novus, che pur di non cadere nelle mani naziste si uccide, in Catalogna, ingerendo morfina.
Diverso è il caso di Cesare Pavese che dopo delusioni amorose e una crisi esistenziale perdurante, il mal di vivere, trova la morte aiutandosi con sedici bustine di sonnifero. Anche Pavese aveva lasciato diverse tracce di questo pensiero nel suo diario. Tracce, purtroppo, che si sono perse insieme a chi le aveva scritte.
«Roma è un crocchio di giovanotti che attendono per farsi lustrare le scarpe. Passeggiata mattutina. Bel sole. Ma dove sono le impressioni del ‘45-‘46? Ritrovato a fatica gli spunti, ma niente di nuovo. Roma tace. Né le pietre né le piante dicono più gran che. Quell’inverno stupendo; sotto il sereno frizzante, le bacche di Leucò. Solita storia. Anche il dolore, il suicidio, facevano vita, stupore, tensione. In fondo ai grandi periodi hai sempre sentito tentazioni suicide. Ti eri abbandonato. Ti eri spogliato dell’armatura. Eri ragazzo. L’idea del suicidio era una protesta di vita. Che morte non voler più morire».
David Foster Wallace era della mia generazione, classe 1962. Ha scritto libri che resteranno e non saranno dimenticati tanto facilmente. «Preferirei vivere fino a cinquant’anni» disse in un’intervista con Dave Eggers, ma dannazione è morto prima. Accidenti David, spero stia bene adesso.

¹ Il mondo è vuoto, non ho più voglia di vivere.

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