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La città dei ragazzi, Eraldo Affinati

La letteratura fa viaggiare la mente e trasporta in posti e dimensioni altre, aiuta a riscattare la realtà e offre opportunità che la vita vera, spesso, non è in grado di regalare. La città dei ragazzi di Eraldo Affinati è letteratura. Letteratura allo stato puro. Merce rara, da tutelare e conservare tra le cose più preziose.
Più che di fronte a un racconto si ha l’impressione di essere davanti a uno specchio. E la storia che si legge è una storia che si potrebbe definire di autocoscienza. Un modo per dirsi, ad alta voce, una verità incontrovertibile: da soli non siamo niente. E quando si pensa di avere dato tanto, in realtà si è ricevuto tanto.

Ma partiamo dall’inizio, da quel John Patrick Carrol-Abbing, senza il quale questa storia non ci sarebbe stata.
«Sul prato, davanti alla chiesa, riposa monsignor John Patrick Carrol-Abbing. Cuore grande. Testa dura d’irlandese. È lui che, raccogliendo gli orfani dalle macerie, nel secondo dopoguerra, si inventò tutto questo: il sistema dell’autogoverno coi sindaci bambini, gli assessori alle finanze, allo sport, gli ispettori, la moneta locale, chiamata lo scudo, utile per comprare succhi di frutta e merendine. Morì nel 2000: non feci in tempo a conoscerlo. Ma, venendo qui ogni giorno, è come se gli parlassi.»
Eraldo Affinati insegna alla Città dei Ragazzi di Roma che oggi è abitata da giovani protagonisti delle nuove rotte dell’immigrazione clandestina che attraversano Afghanistan, Iran, Turchia, Grecia per arrivare in condizioni inumane in Italia e che per puro e fortuito caso si trovano a vivere parte della loro giovane vita a Roma. Vivono in baraccopoli vicino ai porti in attesa di poter partire, sdraiati sotto i pianali o nei cassoni dei Tir, e chi viene sorpreso dalla polizia ci riprova il giorno successivo.
«A poco a poco, dal fogliame che separa la scuola dalle unità abitative, spuntano i ragazzi: un tempo erano gli sciuscià italiani. Adesso i loro nomi sono Khuda, Qambar, Nabi, Francisco, Musa, Lazar, Sharif, Shumon. Hanno appena fatto colazione nel grande refettorio. Vengono da Capo Verde, dalla Nigeria, dal Marocco, dalla Romania, dalla Moldavia, dal Bangladesh, dall’Afghanistan.»
Si capisce che Affinati si fa carico delle speranze e dei bisogni di questa fauna umana e contemporaneamente di un tema centrale nelle dinamiche della contemporaneità: le nuove migrazioni di chi scappa da terre che non offrono nulla a terre che non vogliono offrire nulla.
Tra questi ragazzi ci sono Omar e Faris, i ragazzi con i quali Affinati compirà un meraviglioso viaggio nello spazio e nel tempo. Un viaggio che ben presto comincerà a correre su binari paralleli. Da un punto di vista letterario un doppio registro che pone sullo stesso piano emozioni e sentimenti, presente e passato. C’è la letteratura nel modo di scrivere, così come nei rimandi, quasi automatici, ai grandi classici e si percepisce una consuetudine con la lettura e con i personaggi che hanno fatto la storia della letteratura.
Ed è infine un libro sul padre, sulla figura del padre.
Si scrive per vivere, o rivivere, momenti della nostra vita. E scrivendo ci ri-appropriamo di noi stessi, della nostra storia.
Quando la distanza tra noi e il passato è fissata sulla carta ci si può acquietare. E si può finalmente guardare le cose con il giusto distacco e allora, solo allora, si può godere appieno di ciò che è stato. Allora, solo allora, la dimensione diviene eroica e si può piangere e godere anche di quelle lacrime. Poi all’improvviso il romanzo prende una piega autobiografica, diviene un saggio e un viaggio. Un viaggio di conoscenza. Un viaggio reale che attraverso gli occhi, il cuore, la polvere, le ansie, i dolori dei giovani vecchi della Città dei Ragazzi di Roma ti restituisce il tuo vissuto. La tua storia e che segna e condiziona in maniera irreversibile il tuo futuro.
Un viaggio nel quale Affinati scopre tutta la potenza dell’insegnamento nel vedere ormai quelle giovani vite a disagio nei luoghi di origine.
«Si sentono stranieri dentro il Paese cui appartengono. Rifiutano la sporcizia, il disordine, la corruzione, le disuguaglianze. E non smettono di indicarmi il traffico caotico, la povertà, i disservizi.»
Così come scopre la grande capacità di ascolto e di apprendimento dei suoi ragazzi che, reinseriti nel loro contesto, ridiventano più veloci, sicuri, perfino più intelligenti.
«[…] io, gli dissi, no riuscirei mai a imparare l’arabo nel modo in cui stai facendo tu con l’italiano. Faris alzò gli occhi sfoggiando il suo sorriso estremo: un fotogramma sgranato al rallentatore.»
Il viaggio diviene così un conoscersi e un ri-conoscersi che si esplicita su un flusso ininterrotto di amore.
«[…] ripensai alle parole di che Don Milani riservò ai suoi scolari nel testamento: Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto nel suo conto.»
E quale atto d’amore più forte verso questi ragazzi, questa umanità proveniente dalla guerra, dalla violenza, dalla povertà vera, che vedere attraverso i loro occhi il proprio padre, le proprie radici, in ultima analisi vedere se stessi. Un atto d’amore estremo, senza infingimenti, quello che Affinati riversa nei confronti di questi ragazzi e attraverso questi ragazzi verso la vita.
«Mio padre ora sta in piedi davanti a me, lo riconosco negli occhi di questi cuccioli dispersi, smarriti provenienti da tutto il mondo, che ne ripercorrono le tracce nel fuoco dell’umanità in ebollizione. È qui, è qui […] È Peppino […] È Nabi […] È Said […] È Mihai […] È Zoltan […] È Lazar […] È Ivan […] È Simone […]»
Ed è proprio attraverso questi occhi, questi cuori, questo lungo e doloroso percorso, che Affinati riapre e chiude i conti con il suo passato e la sua condizione di figlio.
Un libro perciò necessario per tanti motivi, ma soprattutto perché oggi, nel tempo che abitiamo, si avverte sempre più e in maniera crescente la necessità di avere valori di riferimento positivi e condivisi. Degli esempi in cui riconoscersi.
«Mentre supero lo sbarramento del check-in, negli sguardi dei ragazzi riconosco la mia stessa commozione. Quello che accade in aula produce gli stessi effetti indelebili. È la potenza dell’insegnamento.»

Titolo La città dei ragazzi
Autore Eraldo Affinati
Editore Mondadori
Anno 2008

Eraldo Affinati, lo scrittore insegnate
Eraldo Affinati è nato a Roma nel 1956 dove vive e lavora. Insegna italiano ai minorenni non accompagnati della Città dei Ragazzi. Collabora al “Corriere della Sera”. Come si legge nel suo sito internet, www.eraldoaffinati.it, la sua scrittura nasce spesso da un viaggio. E il viaggiare, conoscere, scoprire, alla maniera dei grandi scrittori e intellettuali del secolo scorso, che fa di Affinati uno scrittore necessario, responsabile. «In particolare sento di essere responsabile della parola scritta e orale perché, oltre ad aver pubblicato libri, sono anche insegnante.»
E per spiegare meglio il senso di questo viaggiare conviene affidarsi alle sue parole.
«In classe abbiamo una bella carta geografica. Molti miei alunni, slavi, arabi, africani e asiatici, possono considerarsi esperti viaggiatori. Hanno mangiato la polvere dei deserti, il catrame delle autostrade. Conoscono la vernice scrostata delle sbarre doganali, i sonni persi con la testa appoggiata al finestrino dell’autobus, i documenti stropicciati fra le mani. Questi adolescenti ospiti del Bel Paese, lazarilli e sciuscià del Terzo Millennio, hanno ancora negli occhi i semi dei lunghi tragitti un tempo riservati ai giovani rampolli della nobiltà europea: una complicata grana di stelle e neon pubblicitari, parcheggi semivuoti e montagne all’orizzonte, chiese e moschee. Adesso sono loro a spiegarmi, con pazienza e lungimiranza, lasciando scorrere il dito sulla mappa, le scalcinate periferie di Addis Abeba, la foresta pluviale poco distante da Lagos, i mercati galleggianti di Dacca, gli empori di Herat, le feste di Rabat, gli scantinati di Bucarest. Ed io compio davvero insieme a loro, senza pagare il biglietto, il giro del mondo in aula.»

Bibliografia
Berlin, Rizzoli 2009
La Città dei Ragazzi, Mondadori 2008, Oscar Mondadori, 2009
Compagni segreti. Storie di viaggi, bombe e scrittori, Fandango, 2006
Secoli di gioventù, Mondadori, 2004
Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer, Mondadori 2002
Il nemico negli occhi, Mondadori 2001
Uomini pericolosi, Mondadori 1998; Oscar Mondadori 2000
Campo del sangue, Mondadori, Milano 1997, Oscar Mondadori 1998, UTET, Collezione Premio Strega. I cento capolavori, Torino, 2006, Oscar Mondadori 2009
Patto giurato. La poesia di Milo De Angelis, Tracce, 1996
Bandiera bianca, Mondadori, 1995, Leonardo 1996, Oscar Mondadori 1999
Soldati del 1956, Marco Nardi, 1993, Oscar Mondadori 1997
Veglia d’armi. L’uomo di Tolstoj, Marietti, 1992, Oscar Mondadori 1998
Ha curato l’edizione completa delle opere di Mario Rigoni Stern, Storie dall’Altipiano, I Meridiani, Mondadori 2003

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