Questo articolo è pubblicato sul quotidiano Roma, il giornale di Napoli
Il commissario Malandra di Franco Avallone scava nell’anima di una comunità, tra rito e memoria collettiva
Uno degli elementi che aiuta a distinguere la letteratura dal resto che si scrive (anche bene), oltre naturalmente alla musicalità delle parole messe una di fianco all’altra e indipendentemente da ciò che si voglia intendere per musicalità, è la verità. La verità che quelle parole esprimono.
E ogni libro che esprime verità è, in qualche misura, autobiografico. La finzione è nella costruzione della narrazione e della concatenazione dei fatti, non è, non può essere, nella voce. La voce di Franco Avallone, ne Le vergini del commissario Malandra, coincide e si sovrappone alla narrazione e in tal modo ne determina la cifra stilistica.
Prim’ancora di entrare nel cuore della vicenda narrata e dunque per almeno venti/venticinque pagine, in quello che possiamo considerare il prologo o l’introduzione del protagonista, c’è già molta verità. Poi parte la storia e si parte, come da copione, con l’esame del cadavere.
Ma già dalle prime venti/venticinque pagine s’intuisce che il romanzo uscirà dai canoni di genere, strettamente di genere. E la linea di demarcazione tra fiction e non fiction e letteratura di genere si materializza sotto i nostri occhi con la presenza di autori reali (e romanzi) nella narrazione che con la loro testimonianza determinano e condizionano comportamenti e scelte non secondarie ai fini della storia stessa.
In questo senso, e se la mia lettura è una delle letture possibili, stiamo per leggere un libro che ci racconta verità, autobiografico e, soprattutto, intimo. E per esprimere in modo sintetico e più efficace alcune verità, l’autore ha scelto di utilizzare anche il dialetto. Il dialetto abruzzese. Utilizzato con parsimonia e sagacia, solo quando, realmente, sintetizza e spiega meglio. Quando ha una funzione onomatopeica o rappresenta un «vantaggio comunicativo».
Ecco perché questo ueste non è un libro per il quale dovete attendere le ultime pagine per scoprire il colpevole o i colpevoli, ma come scrive Avallone, «quando c’è un traguardo da tagliare anche il deserto diventa una strada». È piuttosto una riflessione su come siamo e come siamo diventati utilizzando la religione e il rito per eccellenza che la contraddistingue e la veicola, la processione, come cartina al tornasole per determinare la natura dell’essere umano.
Un romanzo ambientalista per l’attenzione e la cura riservata alla flora, per come la descrive e la rende necessaria per una migliore comprensione del Creato e della natura umana. La natura, dunque, protagonista del romanzo. Non si giustappone, ma concorre alla comprensione del contesto e alla risoluzione del caso. Letteralmente.
Si può dire che questo romanzo sia in realtà due romanzi in uno, in cui i coprotagonisti sono trattati con la stessa, meticolosa, cura di particolari con cui sono trattati i protagonisti. La seconda parte, o il secondo romanzo, se preferite, è ancora più ricca di dettagli della prima, perché la scena in cui si svolge la narrazione, la processione de La Madonna che scappa, una delle manifestazioni religiose più seguite in Abruzzo, è la terra dell’autore. Avallone, da buon scrittore e attento cronista, conosce il rito nel profondo, così come le norme che regolano la scelta di chi porterà Cristo e di chi porterà la Madonna; conosce molto bene luoghi e persone che lo frequentano.
La dote migliore di Franco Avallone risiede nella scrittura. Ricca di spunti. Precisa, capace di restituire immagini nitide, mai ridondante. E, accanto ad un uso sapiente del dialetto, c’è un elegante uso della citazione. Volutamente celata, ma evidente a chi ha occhio e orecchie allenate. Carlo Emilio Gadda, Francesco De Gregori, la squadra del cuore, oltre a quelle rese esplicite e citate ne La bugia è poesia, alla fine del libro. Le vergini del commissario Malandra vi stupirà proprio per la bellezza della scrittura e per la verità che le parole utilizzate esprimono.
Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.