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Paz, Annibale e il cane Astarte

Storia di Astarte è l’ultima che Andrea Pazienza ha “visto”, disegnato e scritto. Le prime tavole di una narrazione  epica, rimasta incompiuta, interrotta in una «fresca sera di giugno» del 1988.
«Una notte, mi apparve in sogno un cane nero, orbo, così brutto che mi svegliai» è l’incipit di Storia di Astarte, un sogno che diventa un incubo, così è anche una delle tavole più belle di Paz che introduce Le straordinarie avventure di Pentothal, il suo primo lavoro.

Qui Paz si ritrae in primo piano, di profilo, testa sprofondata nel cuscino, occhi chiusi con la fronte madida di sudore, sovrastato dal suo sogno/incubo, una tavola nera illuminata dal bianco di forme, numeri, topi che corrono in tutte le direzioni. Era il 1977 e con quelle tavole iniziava una nuova era per il fumetto italiano. A distanza di undici anni Pazienza riparte da dove aveva iniziato. Ancora una volta un sogno che si trasforma in incubo, e che assume le sembianze di un cane: il cane di Annibale, Astarte. Nell’opera le gesta del grande condottiero cartaginese vengono viste attraverso la vita di Astarte, che è stato scelto e addestrato per diventare il capo dei cani da guerra di Annibale. Pazienza offre qui una prova di maturità, inaugurando un filone che sarebbe potuto diventare un nuovo inizio. C’è una consapevolezza maggiore, «in cui Andrea ritrova l’entusiasmo per il segno» che contestualmente vede crescere anche la dimensione letteraria dove l’oggetto della narrazione non è più solo il frutto della pura ed esplosiva invenzione o del talento infinito da tutti ri-conosciuto, ma anche di un lungo lavoro di studio e di preparazione. E perciò quando leggiamo e associamo alle parole le immagini siamo trasportati direttamente in una dimensione e in un tempo altri. «Mentre l’immane esercito risaliva la Spagna, io e mio fratello spiavamo dal carro il lavoro dei cani, che sembravano tessere, con il loro andirivieni tra le zampe dei cavalli, una rete tra la polvere che rinsaldava l’armata.» È Astarte che parla e sembra quasi di sentire in bocca quell’impasto di polvere e terra e stanchezza che i disegni aiutano a comprendere. Una scrittura ispirata e per certi versi onomatopeica. Così come quando c’imbattiamo in «L’alba sorse sanguinosa», nell’immediata vigilia del combattimento, siamo consapevoli che alla pagina successiva ci attende il redde rationem.
La tecnica con cui Paz restituisce la dinamica degli avvenimenti si avvicina molto a quella del cinema. La narrazione avviene su più livelli. Panoramica: quando entriamo in Cartagine e scopriamo, tra le tante figure che si materializzano sotto i nostri occhi,  l’esistenza di una muta di cani provenienti dall’Anatolia, tra i quali sono i genitori di Astarte; piano sequenza: quando la percezione del mondo avviene attraverso un’unica inquadratura posta all’altezza degli occhi dei cani. «Poi d’improvviso il fiato pesante svanì in una ultima nuvola di vapore» è la didascalia che accompagna la tavola in cui dall’interno della bocca del grande cane romano, che si appresta ad affrontare Astarte, riusciamo a vedere, piccolo, piccolissimo come mai lo abbiamo percepito, il capo dei cani da guerra di Annibale. Se fosse davvero la scena di un film sarebbe una scena lunghissima ed esaustiva del clima di battaglia, di sangue e di morte che Paz riesce a far emergere da queste pagine. Un tempo di battaglie vere è quello che vive Annibale, quando dal campo non si usciva mai in due ma uno solo continuava il viaggio. Con pochi tratti e soprattutto in pochissime pagine, dunque, Andrea Pazienza riesce a farci affezionare a un personaggio, Astarte, che sarebbe dovuto morire nella battaglia delle battaglie, a Zama, ma che invece è destinato a restare come sospeso tra la vita e l’attesa di una morte annunciata.
Qualche anno più tardi, nel 1993, gli Almamegretta un gruppo musicale napoletano diventato negli anni vero e proprio “gruppo cult” tra i giovani, ha scritto una canzone che s’intitola Figli di Annibale.
«Annibale grande generale nero, con una schiera di elefanti attraversasti le Alpi, e ne uscisti tutto intero […] ma lo sapete quanto sono grossi e lenti gli elefanti? […] un pò del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene […] se conosci la tua storia sai da dove viene il colore del sangue che ti scorre nelle vene […] ecco perché, ecco perché noi siamo figli di Annibale, meridionali figli di Annibale, sangue mediterraneo figli di Annibale?»
Mentre leggevo le gesta del capo dei cani da guerra di Annibale mi sono ritornati in mente questi versi, e questa musica mi è sembrata da subito la colonna sonora ideale per gustarsi l’ultimo, grande regalo di Andrea Pazienza.
L’ultima tavola del libro raffigura Astarte al centro del foglio con la lingua penzoloni che si allontana verso un punto imprecisato. Una zampa ben piantata per terra e le altre tre sospese in aria a rendere veritiero il movimento. Si allontana velocemente, non può sapere che questa sarà l’ultima immagine che resterà di lui nella nostra mente.,

Titolo Astarte
Autore Andrea Pazienza
Editore Fandango Libri
Anno 2010


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