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Perché ai mondiali di calcio in Sudafrica non tiferò per l’Italia di Marcello Lippi

Seguo il calcio da sempre. Mio padre mi portava allo stadio, tutte le domeniche con il sole o con la pioggia, a vedere le partite del Foggia. Le gradinate dello stadio a quei tempi erano costruite con i tubi innocenti e noi sedevamo, ma il più delle volte eravamo in piedi, su tavole di legno che assecondavano i nostri movimenti. Gli stadi non erano coperti e quando pioveva le conseguenze le sentivi per tutta la settimana. Il Foggia in quegli anni, 1970/1980, era un squadra che si batteva sempre per le prime posizioni in serie B e quando faceva le sue apparizioni in A, tranne qualche fiammata d’orgoglio, era pronta a ritornare subito nei ranghi per essere di nuovo protagonista nel suo campionato ideale, la serie B appunto.

Tifavo per il Foggia e basta. Non avevo una squadra di serie A, come spesso succedeva per i miei amici. Mi piaceva il bel calcio e seguivo le gesta dei grandi calciatori. Il primo fu, il mitico, Gianni Rivera, quando si poteva tifare anche per il Milan. Poi venne Giancarlo Antognoni. Roberto Baggio, Francesco Totti e oggi Antonio Cassano. Ho seguito così negli anni, con interesse, i risultati di Milan, Fiorentina, Roma e oggi della Sampdoria. Sono stato e sono un tifoso Sui generis. Mi piace il bel calcio e per questo sono disposto a cambiare anche squadra. Mi sono innamorato dell’Olanda allenata da Rinus Michels e del suo calcio totale che aveva in Johan Cruyff, Neeskens e Resenbrink  interpreti di primo piano. Del Milan di Arrigo Sacchi che sapeva imporre il suo forsennato ritmo su tutti i campi, del Foggia di Zeman che esprimeva nelle giocate di Rambaudi, Baiano e Signori l’essenza stessa del calcio, e oggi del Barcellona di Pep Guardiola. Tutte squadre che hanno giocato un bel calcio capace di avvicinare i giovani a questo sport. Tutte squadre che hanno avuto allenatori che prim’ancora di essere dei bravi tecnici sono stati dei grandi uomini.
Un grande uomo è Enzo Bearzot. La sua Italia del 1982 ci ha fatto sognare e soprattutto essere fieri di essere italiani. Una squadra grintosa, in grado di esprimere, a tratti, anche un grande calcio, ma soprattutto una squadra in cui potersi riconoscersi. Bearzot aveva saputo creare un gruppo, che alle polemiche e ai tormenti di qualcuno dei suoi calciatori, rispose con una grande forza morale. Basta ricordare a questo proposito i guai giudiziari di quello che diventerà il giocatore simbolo dell’italianità in tutto il mondo: l’uomo che segnò tre reti al Brasile in una sola partita, Paolo Rossi. Era quello un gruppo, che pur isolandosi per tutta la durata di quella splendida avventura che furono i mondiali di Spagna del 1982, era amato. Tutti capimmo che quella chiusura non era un atto di arroganza nei nostri confronti o nei confronti dei giornalisti, ma era un cercare al proprio interno le energie per superarsi. Quelle mancate risposte non erano omertà ma un modo per caricarsi. Per me il mondiale vinto dall’Italia è quello del 1982.
Marcello Lippi invece non mi piace. Non mi piace come persona e non mi piace come allenatore. Non mi piace la sua arroganza. È amico, e continua a difenderne l’operato, di Luciano Moggi e in affari con Flavio Briatore e Daniela Santanchè. A me non piacciono Luciano Moggi, Flavio Briatore e Daniela Santanchè. Soprattutto non mi piace come giocano le sue squadre. Non verticalizzano, attendono. Non si propongono e non hanno mai un possesso palla significativo. Non riesco ad appassionarmi. I mondiali di calcio del 2006 non mi hanno entusiasmato. È stato un campionato mediocre e nessuna squadra ha entusiasmato. In quel contesto uno come Lippi può vincere, ma mi chiedo: il calcio è un gioco, se non si vince giocando bene a cosa serve? Cosa resta?
L’Italia di Marcello Lippi si è qualificata per il mondiale in Sudafrica e ha ottenuto questo risultato con un turno di anticipo. La domanda che pongo è la seguente: c’è qualcuno che si ricorda una bella partita di questa fase di qualificazione? Una bella giocata? Un bel goal?
Ha convocato tanti, tantissimi giocatori, Foggia (Lazio), Mascara (Catania), Pellissier (Chievo), Rossi (Villarreal), Palladino (Genoa) Pepe (Udinese), solo per nominare gli attaccanti esterni, quelli che teoricamente giocano nello stesso ruolo di quello che considero il più forte calciatore italiano di questi ultimi due anni: Antonio Cassano. Ha convocato tutti quelli che giocano nel suo ruolo ma non ha convocato lui. Tutti, in Italia, si chiedono il perché di questo ostracismo, ma lui, il commissario tecnico della nazionale italiana di calcio non risponde. Ha provato a deviare i discorsi su Cassano concentrandosi sul “Gruppo”. E qualcuno del suo “Gruppo” ha azzardato qualche timida risposta. È il caso di De Rossi ad esempio. Avrebbe fatto meglio a star zitto, a parer mio, a concentrarsi piuttosto sui problemi che attraversano la Roma. dai quali non mi pare sia esente da responsabilità.
Tornando a Lippi, quando un giornalista gli chiede il perché della mancata convocazione di Cassano in nazionale, lui non risponde o peggio ancora risponde pensando di fare il simpatico. In Italia c’è già una persona che non risponde alle domande, anche’esso amico di Moggi, Briatore e della Santanchè, penso possa bastare.
Per motivi tecnici, allena una squadra che fa giocare male e non entusiasma e soprattutto non convoca il miglior calciatore italiano, Antonio Cassano, e umani, è una persona che non mi piace, non tiferò Italia ai prossimi mondiali di calcio.
Tiferò Inghilterra. La squadra allenata da Fabio Capello. Sarà un po’ come tifare Italia, in fondo.

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