La terza puntata di Vieni via con me è stata un trionfo senza precedenti per Rai Tre. Nove milioni e settecentomila telespettatori. 31.60% di share. Oltre 20 milioni di contatti.
I numeri non sono tutto è vero, ma spesso spiegano più di tante analisi. La terza puntata di Vieni via con me, il programma televisivo di Fabio Fazio e Roberto Saviano, è stata un trionfo.
Un trionfo senza precedenti per Rai 3. Nove milioni e settecentomila telespettatori. 31.60% di share. Oltre 20 milioni di contatti.
Molti, soprattutto appartenenti al salotto ormai solo virtuale della sinistra, hanno criticato aspramente le prime due puntate del programma con giudizi che oscillavano tra il “banale” e “non santifichiamo Saviano”. Critiche che riflettono un pregiudizio che unifica l’Italia intera e mettono in rilievo una sua caratteristica comune a Milano come a Palermo: l’invidia.
Dopo la prima puntata, meno intensa e bella della seconda, a sua volta più bella e intensa della terza, ho salutato con soddisfazione il ritorno in televisione dell’impegno civile in un programma non necessariamente di nicchia. E quando Saviano ha affermato, davanti a milioni di italiani, che «È importante che ognuno faccia bene il proprio lavoro», cito a memoria, «per dare un contributo al cambiamento del nostro Paese», ho gioito. Penso anch’io la stessa cosa. Dirò di più. Credo che l’unica rivoluzione possibile sia oggi quella di fare bene il proprio lavoro.
Roberto Saviano è un narratore, un fine narratore. E vorrei qui ricordare le storie della seconda puntata. La prima riguardava la ‘Ndrangheta, la seconda la storia d’amore di Pier Giorgio Welby e di sua moglie Pina. Storie molto diverse ma ugualmente intense.
Nel primo caso, in maniera quasi didascalica, alla Giovanni Falcone per intenderci, ha spiegato al grande pubblico della televisione, ai ragazzi adolescenti e a tutti quelli distratti da nani, ballerine ed escort, com’è organizzata la ‘Ndrangheta, come vivono i suoi capi latitanti e soprattutto come e dove puliscono il denaro proveniente dalle azioni criminali.
Roberto Saviano è riuscito a inchiodare davanti ai teleschermi milioni di persone, con un numero sempre crescente di giovani (e di laureati), grazie alla sola forza della parola. E ha svolto una funzione maieutica.
La seconda narrazione è stata una travolgente storia d’amore. L’incontro tra Pier Giorgio Welby e Pina. Anche in questo caso Vieni via con me è riuscito a parlare a una platea ampissima di temi centrali della vita contemporanea, l’Eutanasia e il Testamento biologico, che pongono molti interrogativi e richiedono risposte certe.
E poi ancora Beppino Englaro, Antonio Albanese, Cristiano De Andrè, Silvio Orlando, e prima Roberto Benigni, Salvatore Accardo, Renzo Piano, Andrea Camilleri, e soprattutto le esecuzioni live della più bella canzone italiana di sempre, Vieni via con me di Paolo Conte. Come dimenticare Peppe Servillo degli Avion Travel che duetta con il fratello attore Toni e la performance di Luca Zingaretti?
Dopo il successo delle prime tre serate, Fabio Fazio, Roberto Saviano, Loris Mazzetti e tutti gli autori del programma possono ritenersi soddisfatti. Hanno mandato in onda il successo televisivo dell’anno, uno dei pochi programmi che non è un format, un prodotto preconfezionato altrove e distribuito da noi. Ed è incredibile che un narratore di storie come Saviano abbia dovuto aspettare tutto questo tempo per avere uno spazio tutto suo nella televisione pubblica. Questo è il vero scandalo.
Vieni via con me è “la televisione” che vorrei vedere sempre. Dove va in onda un’altra Italia. Un’Italia che mi piace. Assai.
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