Le 101 favole contenute nel nuovo lavoro di Tonino Guerra, “Polvere di sole” (Bompiani, 176 pp, 16,50 €) inseguono, cercano e infine trovano un grado zero dello sguardo. Letture brevi per meglio custodire un “io” spesso sovrastato dalla grevità della nostra contemporaneità. Cose semplici. A volte solo colori, sensazioni.
E poi cultura popolare e appunti che provengono da un tempo meno veloce ma non per questo fermo. Un viaggio dentro le parole per riflettere sul proprio respiro e ascoltarlo. Favole che in alcuni casi diventano poesia e, a volte, progetto per un film, magari per un nuovo romanzo. Parole e sensazioni che rimandano a un modo di guardare comune a un altro grande visionario della cultura europea, Wim Wenders, sbucato a sorpresa con la moglie Donata nella nebbia di Pennabilli in occasione di un recente compleanno di Tonino Guerra, suo dichiarato maestro. «Noi, nella testa, abbiamo un nido che conserva un determinato numero di storie, non una di più o di meno; queste storie provengono dall’infanzia e dai sogni che produce, non c’è strada che ci porti a quel nido, non si può creare si può creare niente che non vi sia già stato immenso in precedenza». Parole che esprimono il senso più autentico del progettare e del guardare più che del vedere.
Favole, infine, nelle quali possiamo leggere tanto di noi e della nostra storia, quasi un atto di generosità del poeta. C’è Federico Fellini che riesce a rendere colorata una fuga dalla realtà, altrimenti grigia, della periferia più periferia di Mosca. C’è la Valmarecchia, la terra dove il poeta ha scelto di vivere vent’anni fa dopo i successi romani. Alcune di queste favole, “I rumori” per esempio, trasportano direttamente in un’altra dimensione e predispongono all’ascolto così come “Messaggi di luce” di una giovane suora a un giovane prete predispongono all’amicizia e all’amore. S’incontrano merli che ripropongono il tintinnio delle campane per far rivivere il “Monastero verde” o scheletri di dinosauri che «mangiavano gli arbusti sulle sponde del fiume Amu Darya».
Favole che anelano all’attesa di un tempo nuovo che è tempo già trascorso e tempo che trascorrerà.
«Abbiamo bisogno che non siano soltanto le parole a toglierci dalla monotonia di questa vita ma anche un paesaggio può ributtarti addosso una vita primitiva abbandonata da milioni di anni e farti sentire l’odore dell’infanzia del mondo». È terra e natura, è soprattutto poetica consapevolezza. Un guardare il mondo per quello che è e non per come viene descritto o raccontato. Soprattutto è lasciarsi attraversare. «Occhi pieni di spazi e di notizie con la capacità di comunicare discorsi prima che arrivino le parole».
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