Quando la Fiat era di Giovanni Agnelli s’identificava l’intera Fabbrica Italiana Automobili Torino con il Paese. L’“avvocato” era solito ripetere: «Ciò che va bene alla Fiat, va bene all’Italia». Si dice che per far sentire meno soli i meridionali che lavoravano nella sua fabbrica comprò per la Juventus Pietro Anastasi, “Pietruzzo”, siciliano di Catania, che rimase a Torino per otto anni contribuendo in maniera decisiva a molte vittorie dei bianconeri.
Giovanni Agnelli era sempre il “padrone” e gli operai erano sempre gli operai. Ma dell’“avvocato” ci si poteva fidare. Ci si fidava.
Oggi la Fiat è nominalmente della famiglia Agnelli ma il vero Deus ex machina è un abruzzese di Chieti, Sergio Marchionne. A lui si deve lo sbarco in grande stile in America della fabbrica italiana. Anche i nuovi contratti di Pomigliano e di Mirafiori sono opera sua.
Così come sua è la dichiarazione che in queste ore inquieta non pochi italiani: «Fiat e Chrysler potrebbero fondersi, il nuovo headquarter potrebbe essere trasferito a Detroit, il tutto nell’arco di due o tre anni».
Sergio Marchionne risiede in Svizzera, è Amministratore delegato di Fiat, Fiat Automobiles e di Chrysler, presidente di Fiat Industrial. Presidente del Consiglio di Amministrazione della Société Générale de Surveillance di Ginevra, Vicepresidente non esecutivo del Consiglio di Amministrazione del colosso bancario svizzero UBS e consigliere di amministrazione di Philip Morris International. La Fiat non è sua ma è come se lo fosse. Ha interessi ovunque, pochi in Italia. Forse anche per questo le sue idee e i suoi progetti sulla Fiat non ispirano fiducia.
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