Le prime luci dell’alba colgono Jordi di sorpresa. Si è addormentato da poco e per questo la luce gli procura una fitta dolorosa agli occhi. Non ha nemmeno il tempo di svegliarsi del tutto, che Giancarlo gli allunga un biglietto piegato in quattro.
a j., r.
so che a quest’ora mi stai cercando.
«Ma dov’è?» chiede rivolgendosi a Giancarlo.
«Chi?» gli risponde questi mentre è alle prese con i rifiuti lasciati in spiaggia nella notte appena trascorsa.
«Rossella, chi altrimenti?» ripete Jordi.
«L’ho vista andare verso nord, mi ha detto che passava da Nino», e dopo aver risposto monta sul piccolo trattore per ripulire la spiaggia e farla trovare pronta ai primi bagnanti.
Il passo di Jordi questa mattina è più spedito del solito perché il carretto è ormai quasi vuoto. I suoi libri sono ormai saldamente nelle mani di altri e nuovi lettori.
Quando arriva all’“Ippocampo” c’è già parecchia gente che lo accoglie con il solito caloroso applauso.
«Come mai a quest’ora?» gli chiede Angelo, il marito di Rita che porta tutte le mattine al mare il nipotino.
«Domani parto e ho qualche altro libro da regalare. Oggi sarà una giornata difficile.» Siede sotto la palma di Roberto e Gabriella e comincia a cercare fogli nella sua agenda. Nonostante l’ora c’è già un buon numero di persone attorno a lui.
Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo per pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero.
«Mi rimetto in viaggio e di viaggi vorrei parlare con voi, oggi.» Mentre il suo sguardo si fa triste, Jordi lascia volare via il foglio del libro dal quale ha appena finito di leggere le parole di Marco Polo a Kublai Kan.
«Cosa cerchi nei tuoi viaggi?» Chiede Massimo, amico di vecchia data di Nino e abituale frequentatore dello stabilimento.
«Cerco risposte.»
E mentre si piega sul carretto per scegliere i libri da regalare ai presenti, Nino gli porge un biglietto identico a quello che gli aveva dato, poco prima, Giancarlo.
a j,. r.
so che a quest’ora mi stai cercando. Ancora.
Prende al volo la Corona che Nino gli ha portato e con il carrello sempre più leggero prosegue in direzione nord, non prima di aver lasciato ad Angelo un altro foglio da leggere.
Sì il bosco non c’era. Mancava la dolce umidità e il canto segreto dei boschi. I boschi sono i segreti di un paesaggio.
Questo è un paesaggio senza segreti. Ah, come capisco che qui crescano i razionalisti mentre altrove prosperano i mistici. Il vento, il famoso, celebrato e temuto mistral, è pieno di irruenza e non si lascia ostacolare da nulla. Altrove i boschi arrestano i venti , li avvolgono, li placano, come fanno le madri con i propri figli grandi, forti e selvaggi.
Il sole è ormai alto nel cielo e picchia forte questa mattina. La spiaggia è piena di turisti. In molti riconoscono Jordi che attraversa la riviera di Pescara e lo salutano. Gli chiedono di fermarsi ma lui prosegue dritto per la sua strada. Come un automa. Sa dove si dovrà fermare.
Quando arriva alle “4 Vele” è Alessandra che lo accoglie. Jordi è accaldato. Quando gli portano la Corona, ghiacciata e con il limone, Alessandra gli chiede di sorseggiarla piano. Ma prim’ancora che riesca a bere un solo sorso di birra, Roberta, l’ex di Roberto, che adesso sta con un altro Roberto, gli fa arrivare il biglietto che sta aspettando.
a j., r.
so che a quest’ora mi stai cercando. Ancora di più.
Jordi mette il biglietto in tasca insieme agli altri, e inizia a cercare un foglio da leggere.
Fu in quel periodo che Arkady sentì parlare del dedalo di sentieri invisibili, che coprono tutta l’Australia, e che gli europei chiamano «Piste del Sogno» o «Vie dei Canti», e gli aborigeni «Orme degli Antenati» o «Via della Legge». I miti aborigeni sulla creazione narrano di leggendarie creature totemiche che nel Tempo del Sogno avevano percorso in lungo e in largo il continente cantando il nome di ogni cosa in cui s’imbattevano – uccelli, animali, piante, rocce, pozzi -, e col loro canto avevano fatto esistere il mondo […] I bianchi, cominciò, commettevano comunemente l’errore di pensare che gli aborigeni, non essendo stanziali, non avessero nessun sistema che regolasse il possesso della terra. Era una sciocchezza. La verità era che gli aborigeni non potevano immaginare il territorio come un pezzo di terra circondato da frontiere, ma piuttosto come un reticolato di «vie» o «percorsi».
«Un reticolo di vie e di percorsi, oggi si direbbe una rete. Oppure una scacchiera dove sono già disegnate tutte le mosse, e tocca a noi decidere dove e come muovere le pedine.»
La voce di Carlo arriva chiara alle orecchie di tutti. Carlo è sempre il più bravo e le sue sono letture importanti.
«Bruce Chatwin è il viaggio, il viaggiare», dice Roberta con il suo accento che tradisce la provenienza barese.
«Lo sapevo che qui si andava a nozze con questi libri» ribatte Jordi con un sorriso largo. E mentre la discussione avviata da Carlo e Roberta prende quota, Jordi lascia i cinque libri sul bancone del bar, un altro foglio da leggere e si avvia verso “Istria”.
Il cielo si allargava viepiù verso lo zenith; nuvole immense si delinearono all’improvviso grazie a un amalgama di fili di seta grigi finemente accostati, dalle tonalità più trasparenti fino alle sfumature più fuligginose […] La diafana immagine evocava un paesaggio d’Oriente. Sotto un cielo puro si stendeva un giardino splendido, pieno di fiori affascinanti. Al centro di una vasca di marmo, un getto d’acqua zampillante da un tubo di giada disegnava con grazia una curva slanciata.
Anche Gigi s’incammina con lui verso “Istria”. Deve raggiungere Isabella che lo aspetta con la macchina stracarica per andare a Manfredonia. È tempo di partenze per tutti.
A “Istria” sono tutti in acqua e nessuno si accorge dell’arrivo di Jordi. Nessuno tranne Chiara che lo aspetta con la Corona ghiacciata in una mano e il biglietto di Rossella nell’altra.
a j., r.
so che a quest’ora mi stai cercando. Ancora di più. Sempre di più.
Jordi beve l’ennesima Corona e prosegue il suo viaggio non senza aver lasciato i cinque libri a Chiara, che nel frattempo ha fatto già sparire quello che terrà per lei, e l’ennesimo foglio da leggere.
Ho ritrovato le città bianche così come le avevo viste in sogno. Soltanto chi ritrova i sogni dell’infanzia può tornare bambino. Io non avevo osato sperarlo. Infatti l’infanzia giaceva irrimediabilmente lontana dietro le mie spalle, separata da un incendio di dimensioni mondiali, da un mondo in fiamme. Essa stessa non era più un sogno.
Quando Jordi arriva al “Barracuda” è pomeriggio inoltrato. Dal numero dei presenti si rende conto che l’attesa per lui, oggi è tanta.
Gerusalemme però non è soltanto pittoresca e trasandata, come tante città orientali. Se c’è sporcizia, sono assenti invece mattoni e gesso, muri scoloriti e sgretolati. Le costruzioni sono tutte di una pietra biancastra granulosa, ma pura e luminosa, che al tocco del sole assume tutte le sfumature dell’oro rossiccio […] Le manifestazioni della fede, le lamentazioni di ebrei e cristiani, la devozione dei musulmani per la Roccia sacra non hanno avvolto con alcun mistero il genius loci. Quello spirito è un’emanazione imperiosa, che suscita l’omaggio superstizioso e ne è magari alimentato, ma che esiste indipendentemente da esso.
«Il genius loci, finalmente,» esclama Fabrizio, gran disegnatore e fan sfegatato di Aldo Rossi, ma soprattutto amante della bella vita.
«Il genius loci e la città sono sempre presenti nei tuoi discorsi, nelle tue letture. Perché? » La domanda arriva da Roberto, la prima persona che Jordi ha conosciuto quando è arrivato a Pescara, in una bella e lontana mattina di novembre.
Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.
«Io cerco risposte e le città spesso offrono, a chi sa dove orientare lo sguardo, risposte che ti permettono di conoscere meglio gli uomini che le abitano e che le vivono,» risponde Jordi.
Sono tante adesso le domande che risuonano nell’aria. La discussione è iniziata. Ancora una volta Jordi è riuscito a creare la giusta atmosfera, il clima perfetto per il confronto delle diverse opinioni.
«È il tempo e l’ora per congedarsi,» pensa Jordi.
Si avvia verso il banco del bar dove lascia gli ultimi cinque libri. Adesso il carretto è completamente vuoto. Non ci sono più fogli strappati direttamente dai libri nell’agenda di pelle nera. Non c’è più nulla da leggere.
Daniela gli porge una Corona, forse l’ultima di questa estate adriatica, e con la Corona, una lettera. Non un biglietto come quelli precedenti, ma una lettera.
Jordi la osserva per un po’. Poi si decide, bacia Marta, prende la lettera e la Corona e si dirige verso il mare.
Ormai è buio. La luna è lontana e alta nel cielo. Jordi procede con passo lento e sguardo basso. L’acqua ormai gli lambisce i piedi. Anche l’ultima Corona è andata così come la fetta di limone che gli ha rinfrescato per un attimo la bocca e i denti. Si ferma, si siede e si massaggia le tempie, allunga le gambe, sistema i bermuda e comincia a leggere.
a j., r.
so che a quest’ora mi stai cercando già da un po’.
Ti vedo trascinare il carretto ormai quasi vuoto e che fai la spola da uno stabilimento all’altro. Lo so perché continuo a sentire quello che fai, continuo a sentire quello che pensi. Così come continuo a vederti.
Stai per compiere ottantadue anni. Sei rimpicciolita di sei centimetri, non pesi che quarantacinque chili e sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Porto di nuovo in fondo al petto un vuoto divorante che solo il calore del tuo corpo contro il mio riempie.
Una storia d’amore così dovrebbero viverla tutti, almeno una volta nella vita. Un coinvolgimento totale che parte dalla testa e ti attraversa, poi ritorna indietro e ti riattraversa. Ti si aprono universi sconosciuti e voragini e vuoti quando incontri l’amore che t’invade in queste forme, soprattutto se ti lasci invadere. E non conta l’epilogo, la meta da raggiungere, conta il viaggiare in questa storia. Contano i continui cambiamenti di umore. Conta il numero di farfalle che è nella tua testa, nel tuo corpo. O le farfalle che si fermano in fondo allo stomaco. Conta tutto questo. Poi c’è anche altro, la fisicità, il fare le cose insieme. Ma conta soprattutto quello che senti. Come conta l’attimo in cui dentro di te stai cambiando e sai che questo cambiamento nasce da un altro da te. È influenzato da un altro da te. Perché un altro da te è in te in quel momento. Si chiama amore. È l’amore.
Quante vite può contenere una vita, Jordi? E dopo averle contenute quante ne può vivere?
E quanti di quelli che siamo, riusciamo a far vivere in queste vite?
Ho solo sfiorato il tuo mondo, la tua vita, le tue malinconie. E anche se sono stata sola in questo viaggiare, è stato bello.
E, soprattutto, rifarei quel viaggio.
Tuttavia senti. L’ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all’estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, da quell’ossicino, l’uomo verrà ricreato al momento della resurrezione dei morti. Così per un certo periodo ho fatto un piccolo gioco: cercavo di indovinare quale fosse il luz delle persone che conoscevo. Voglio dire, quale fosse l’ultima cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho cercato anche il mio, ma nessuna parte soddisfaceva tutte le condizioni. Allora ho smesso di cercarlo. L’ho dichiarato disperso finché l’ho visto nel cortile della scuola. Subito quell’idea si è risvegliata in me e con lei è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un’altra persona.
Adesso ci vorrà tanta pioggia. E dopo la pioggia ancora altra pioggia. E solo dopo, forse, sarà di nuovo l’arcobaleno.
È tempo di saluti e di riprendere la mia strada con la vorrà condividere.
Buon viaggio anche a te, Jordi.
P.S.: non strappo mai le pagine direttamente dai libri come fai tu. Anche perché se mai un giorno ci rincontrassimo, magari, e avessimo voglia di rileggerne alcune sarebbe bello avere nuove pagine da strappare.
[fine]
CALVINO I., Le città invisibili, Einaudi 1977.
ROTH J., Le città bianche, Adelphi 1977.
CHATWIN B., Le vie dei canti , Adelphi 1988.
RAYMOND RUSSEL, Impressioni d’Africa , Rizzoli 1964.
BYRON R, La via per l’Oxiana , Adelphi 1993.
GORZ A., Lettera a D. Storia di un amore , Sellerio 2008.
GROSSMAN D., Che tu sia per me il coltello, Mondadori 1999.
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