Sono trascorsi due anni dal 6 aprile del 2009. Due anni è un tempo lungo, lunghissimo, soprattutto nell’era tecnologica nella quale viviamo.
Se pensiamo a tutto ciò che è successo nel mondo in questi due anni ci rendiamo conto che molte cose sono cambiate. Solo per restare agli avvenimenti delle ultime settimane, una parte del mondo molto vicina a noi da un punto di vista geografico, il Nord Africa, sta cambiando radicalmente la propria storia. Intere popolazioni nel breve spazio di pochi giorni si sono messe in movimento e hanno modificato la geopolitica del Mediterraneo. Niente più sarà come prima in Egitto e Tunisia. Molto probabilmente sarà così anche per la Libia.
A l’Aquila invece il tempo scorre in maniera diversa rispetto al resto del mondo. Due anni è un tempo breve, brevissimo pur nell’era tecnologica nella quale viviamo.
La città è sostanzialmente ferma a quel giorno di due anni fa. La zona rossa è sempre zona rossa e il cumulo di macerie è ancora oggi la più evidente testimonianza, speriamo non eterna, dell’avvenuto terremoto. Quasi nessuno dei cittadini sfollati è tornato a vivere nella propria casa perché pochissime di quelle case sono state rese di nuovo agibili. La ricostruzione non è mai iniziata. Solo parole, tante parole e promesse, tante promesse.
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, così come ha fatto recentemente a Lampedusa, in una delle sue innumerevoli performance tenute a L’Aquila nei giorni immediatamente successivi al sisma, promise che avrebbe trascorso l’estate del 2009 in Abruzzo e che avrebbe cercato una casa a L’Aquila per seguire da vicino i lavori della ricostruzione. L’evidenza dei fatti ci dice che la casa non la comprò e la ricostruzione, in senso ampio e diffuso, non è mai iniziata.
Le istituzioni locali tutte, sembrano essere incapaci di compiere atti concreti e congiunti per risolvere la situazione di grave disagio in cui versano i cittadini aquilani.
Molti dei residenti del capoluogo d’Abruzzo vivono oggi in altri luoghi. Le attività economiche non sono ripartite così come speravano in tanti. Il futuro sembra non abitare più da queste parti.
Rebus sic stantibus, che fare per risolvere la situazione?
«It begins with us» sono le parole con cui Barack Obama ha lanciato la sua ricandidatura alla casa Bianca. Tutto comincia da noi. L’uomo politico più influente della Terra riparte dagli elettori democratici. Da ogni singolo cittadino. Chiede un impegno in prima persona ad ognuno di loro: «Ci siete?» Si rende conto che senza il contatto diretto e senza il protagonismo delle persone tutto è precluso.
Dopo due anni di parole e d’impegni non rispettati è giunto il tempo di assumersi altre e diverse responsabilità. “Tutto comincia da noi” a me pare un buon modo per vivere questo 9 aprile del 2011. In prima linea e in prima persona, senza più deleghe per nessuno. Se l’ambizione è davvero quella di salvare l’Aquila non si può più sprecare tempo. La ricostruzione della città e di conseguenza della comunità che l’ha abitata e che l’abiterà non può più attendere. Ogni altro giorno trascorso senza perseguire questo obiettivo non è più giustificabile.
Tutto comincia da noi sembra essere anche il naturale proseguimento del pensiero del poeta: «La nascita non è mai sicura come la morte. È questa la ragione per cui nascere non basta. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno». E allora rimettiamoci in cammino. Tutti insieme perché tutto comincia da noi.
Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.