Videocracy è un film di Erik Gandini. Immagini della mutazione genetica di un popolo.
Protagonisti Lele Mora e Fabrizio Corona in versione parlante, Flavio Briatore e Simona Ventura silenti ma comunque presenti e su tutti il grande capo: il Presidente.
Lele Mora nella sua casa bianca, tra le pareti bianche, di bianco vestito, nel letto bianco, cerca di spiegare il suo lavoro e il mondo che abita. Ci si trova bene e si vede.
Così come si trova a proprio agio con il Duce, Benito Mussolini. Non la fotocopia sbiadita, il Presidente, ma proprio l’originale. E mostra, a favore di telecamera, felice con un bimbo a cui hanno appena regalato il trenino nuovo, la suoneria del suo telefonino: faccetta nera. Candido come i vestiti che indossa, con il suo colorito roseo nonostante la Sardegna, si mostra fiero di queste sue convinzioni.
Fabrizio Corona al contrario non ha vestiti bianchi e non abita una casa bianca. È piuttosto nero, nel senso di abbronzato e tra una doccia e l’altra fa in modo di apparire in versione adamitica. Anche Fabrizio Corona spiega il suo lavoro, un po’ più facile da comprendere rispetto a quello di Lele Mora, e contestualmente c’informa dei suoi guadagni. C’è una categoria di persone, e Corona appartiene a questa categoria, che valuta e si autovaluta, in relazione a ciò che guadagna. Indipendentemente da come lo si guadagna.
Flavio Briatore e Simona Ventura sono nel film Flavio Briatore e Simona Ventura. Il primo sempre “insaccato” nel suo doppiopetto e con le pantofole ai piedi, la seconda sempre trionfante tra il “suo” pubblico.
E poi c’è il Presidente. Presente in ogni luogo anche quando presente non lo è. Il film parla del mondo che lui ha creato e per questo, ovviamente, è il protagonista.
Il mutamento genetico di un popolo, che è il vero tema del film, è rappresentato plasticamente da un ragazzo che ha come obiettivo e massima aspirazione nella vita, diventare popolare e subito dopo famoso. Di mattina fa l’operaio ma quando smette i panni di Cipputi si trasforma nella versione italiana, a suo dire, di un uomo che è il risultato di un incrocio tra Jean-Claude Van-Damme e Ricky Martin. Pur di apparire in televisione fa, quasi di professione, il pubblico.
Un film per certi versi minimalista che diventa kolossal quando sullo schermo irrompe lo spot elettorale di Silvio Berlusconi che ha come refrain: meno che Silvio c’é.
Erik Gandini con una semplice sequenza d’immagini, e facendo, banalmente, ascoltare ciò che hanno da dire i protagonisti di questo reality show, Lele Mora e Fabrizio Corona su tutti, riesce a restituire allo spettatore il vuoto di valori e lo squallore di un mondo di cartone che al primo, vero, acquazzone sarà spazzato via.
È una realtà che non m’appartiene. Che non riconosco. Un senso di smarrimento m’assale. Dura un’attimo, giusto il tempo di chiudere gli occhi e far calare il sipario su quel mondo di cialtroni. Scendo le scale per guadagnare l’uscita e dalla mia memoria affiorano, profetiche, le parole, di Pasolini: «Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e d’informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre». (Corriere della Sera, 9 dicembre 1973).
Fuori l’aria è fresca e piove. Finalmente.
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