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Pino Daniele, unico e grande come Napoli

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Questo articolo è pubblicato anche sul portale Resto al Sud

Napoli è una città nata capitale e che capitale, nonostante i tentativi di renderla marginale, resterà per sempre. Secoli di storia che l’hanno vista primeggiare in tutte le attività dello scibile umano hanno sedimentato nel corso degli anni saperi e conoscenze che hanno generato tante città, tutte racchiuse una dentro l’altra. Città che convivono a fatica, spesso in antitesi tra loro, sovraffollate. Città popolate da una fauna umana che ha pochi eguali al mondo.
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L’orto dei miracoli verso Expo 2015

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Questo articolo è pubblicato anche sul portale Resto al Sud

All’inizio degli anni Ottanta quando imperava la “Milano da bere” e l’Italia delle grandi città si divertiva a scimmiottare l’America, gli orti, urbani e di campagna, non erano al centro dell’attenzione di nessuno. Il mondo dei media, della politica, tantomeno l’opinione pubblica era consapevole della follia e inutilità di quel modo di vivere che ci avrebbe portato dopo pochi anni sull’orlo di un precipizio, etico, morale ed economico. Sull’orlo di quel precipizio viviamo tutt’oggi. Una sorta di calamita che ci ha trascinati, nel corso di questi ultimi trent’anni, sempre più giù fino a farci diventare, quasi, marginali, nel grande scacchiere del mondo.
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Punto Z_Ajò o dell’isolitudine

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Questo articolo è pubblicato anche su QuasiRete, il blog di narrazione sportiva di www.gazzetta.it

Quando Luca Banti, l’arbitro di Inter-Cagliari, fischia l’inizio della partita, Zeman schiera otto calciatori sulla linea di centrocampo pronti all’assalto della porta difesa da Handanovic.
Alzi la mano chi non ha mai sognato di tifare per una squadra che, pronti via, parte a testa bassa alla ricerca del gol così come si fa quando si gioca al mare con gli amici. Chi non ricorda le partite infinite giocate da ragazzi che non avevano mai una durata temporale, ma finivano solo quando non c’era più luce e vinceva chi segnava un gol in più dell’avversario?
Scrive Edoardo Galeano, in uno dei libri più belli dedicati al calcio, «Un giornalista chiese alla teologa tedesca Dorothee Sölle: “Come spiegherebbe a un bambino che cosa è la felicità?”. “Non glielo spiegherei” rispose, “gli darei un pallone per farlo giocare”».
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La vittoria, la gioia e il rispetto per gli sconfitti

Il Centro_15 luglio 2014

Questo articolo è pubblicato anche sui quotidiani on line del Gruppo L’Espresso la Repubblica

Nell’incipit, spesso, è racchiuso il significato di un intero romanzo.
«Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo», è uno degli incipit più famosi della storia della letteratura mondiale. Il romanzo è del 1877, lo ha scritto Lev Tolstoj, il titolo è: Anna Karenina.
Certo l’intreccio narrativo di Anna Karenina è più complesso, così come lo sono i temi che riguardano la società dell’Ottocento che in questo capolavoro della letteratura russa sono chiari e intellegibili come dipinti sulla tavolozza di un pittore verista. Ma in quell’incipit è comunque racchiuso il significato più profondo della narrazione di Tolstoj.
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Ma quale Lionel, per gli argentini c’è ancora Diego

Il Centro_13 luglio 2014_02

Questo articolo è pubblicato anche sui quotidiani on line del Gruppo L’Espresso la Repubblica

Brasile 2014 volge all’epilogo con una finale che non dovrebbe riservare sorprese. La Germania di Thomas Müller e Manuel Neuer ha dimostrato di essere la squadra più forte del torneo e dunque è la favorita per la finale di Rio de Janeiro. Una squadra giovane e piena di talento che, in questo Mondiale ha sempre giocato un buon calcio, un Tiqui-Taca rivisto e corretto che sull’onda lunga delle vittorie del Bayern di Pep Guardiola si è rivelato inarrestabile. Un solo attaccante di ruolo tra i convocati, Miroslav Klose, che diventa, proprio grazie ai gol realizzati in Brasile, l’attaccante più prolifico di sempre nella competizione più importante del calcio. Prestazioni positive che hanno, per una volta, messo tutti d’accordo.
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Il Brasile, la disfatta e l’ombra lunga del Maracanaço

Il Centro_10 luglio 2014_02

Questo articolo è pubblicato anche sui quotidiani on line del Gruppo L’Espresso la Repubblica

L’8 luglio del 2014 fino alle 17.00, ora locale, lo stadio di Belo Horizonte si chiamava Mineirao. Dopo appena novanta minuti, quando in Italia era quasi mezzanotte, il suo nome è diventato Mineiraço. Non è stata la penna di un giornalista a decidere il cambio di nome, è stata la storia del calcio che ha deciso per tutti.
Il 16 luglio del 1950 fino alle 15.00, ora locale, lo stadio più importante di Rio de Janeiro si chiamava Maracanã. Uno stadio maestoso, il più grande al mondo con una capienza ufficiale di 160.000 spettatori. Quel giorno invece, il giorno della finale del campionato del mondo del 1950, pare ce ne fossero non meno di 200.000. Si gioca Brasile-Uruguay, la partita che decreterà la nascita ufficiale del mito del gioco del calcio.
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#giornimondiali_Brasile 82

Questo articolo è pubblicato anche su QuasiRete, il blog di narrazione sportiva di www.gazzetta.it

Una bella mattina di Aprile del 1978, una mattina con il cielo terso e il profumo intenso dei gelsomini che rende l’aria molto piacevole, ricevo la cartolina precetto. Il 27 luglio, VII° scaglione 1982, parto per il militare con destinazione Pisa, Caserma SMipar. La notizia non mi coglie impreparato anche se leggere, nero su bianco, che è giunto il tempo di partire fa comunque effetto. Mancano, dunque, poco più di tre mesi alla partenza e tra me e il servizio di leva c’è solo il mondiale di calcio che si disputerà in Spagna e uno scampolo di estate da trascorrere con gli amici di sempre a Bovino, il paese di mia madre. Il paese dove ho imparato la maggior parte delle poche cose che so fare e che ancora oggi, a distanza di trent’anni, ricordo con affetto e, in qualche occasione, anche con commozione. Il luogo della spensieratezza e della gioventù.
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Neymar come Pelè. Quando si fa male il leader più atteso

Il Centro_8 luglio 2014_02

Questo articolo è pubblicato anche sui quotidiani on line del Gruppo L’Espresso la Repubblica

Gli occhi gonfi di lacrime e rossi di dolore di Neymar da Silva Santos Júnior che rimbalzano dal Brasile, nel video in cui si accomiata dal Mondiale dei Mondiali per una frattura procuratagli da un intervento falloso di un avversario, restituiscono al gioco del calcio e a uno dei suoi protagonisti principali di oggi, un’umanità e una fragilità che le idiozie di pochi, spesso, ci fanno dimenticare.
E così il Mondiale del Brasile perde uno dei suoi protagonisti principali, per i brasiliani “il” protagonista principale. Quegli occhi e quelle lacrime, c’è da scommetterci, resteranno nella memoria collettiva di chi ama il calcio come uno dei momenti da ricordare di questo sport. Quelle lacrime ci dicono inoltre che non vedremo, nelle partite più importanti del mondiale, la leggerezza e la bellezza del gesto tecnico oltre alla gioia che ogni singola giocata di Neymar sa regalare a tutti coloro che amano questo gioco.
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Da Gerd a Thomas, la Germania e la dinastia dei Müller

Il Centro 4 luglio 2014_02

Questo articolo è pubblicato anche sui quotidiani on line del Gruppo L’Espresso la Repubblica

L’aggettivo più appropriato per descrivere la nazionale di calcio della Germania è affidabile. Affidabilità che non è frutto di sensazioni o di luoghi comuni sulla Germania, «sono seri, preparati, fanno sempre le cose per bene», in questo caso l’affidabilità discende direttamente dai numeri, numeri da record. Con 103 partite disputate in un campionato del mondo è, infatti, la prima nazionale a tagliare il traguardo delle cento gare. Ha partecipato a tutte le edizioni del mondiale fatta eccezione per la prima, quella del 1930 e quella del 1950 in cui fu squalificata. Lo score, anche in questo caso è impressionante. Per tre volte ha vinto il campionato, quattro volte è arrivata seconda, sempre per quattro volte si è classificata terza. In undici campionati del mondo è finita sul podio, tra le prime tre squadre al mondo. Detiene anche il record, insieme alla Spagna, di campionati europei, ne ha vinti tre. Una squadra sempre vincente, tanto nel calcio premoderno quanto nel calcio moderno e che da sempre s’identifica nella, ormai mitica, maglietta bianca con calzoncini neri.
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#giornimondiali_Argentina 78

Questo articolo è pubblicato anche su QuasiRete, il blog di narrazione sportiva di www.gazzetta.it

L’Italia che si appresta a giocare il mondiale in Argentina nel 1978, è una squadra diversa da quella che è stata eliminata malamente al primo turno nei Mondiali di Germania. C’è un nuovo allenatore, Enzo Bearzot, che ha preso il posto di Ferruccio Valcareggi, e una rosa rinnovata e ringiovanita. Gli unici quattro superstiti della spedizione mondiale in terra tedesca sono il portiere Dino Zoff, il difensore Mauro Bellugi, il centrocampista Romeo Benetti e l’ala destra Franco Causio.
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